Corriere della Sera, 2 dicembre 2018
Intervista ad Antonio Ricci
Antonio Ricci, qual è il suo primo ricordo?
«Ho quattro anni e sto morendo. Soffocato da una caramella andata di traverso. Mia mamma mi prende per i piedi, mi mette a testa in giù e mi salva. Ma forse è solo un ricordo indotto, a forza di sentirlo raccontare. Il primo ricordo vero è un altro. Passeggio con mio nonno e trovo un pignolo: “Tieni, nonno, un pignolo!”. Tre passi avanti un altro pignolo che consegno al nonno, poi un altro e un altro ancora. Solo da grande ho realizzato che era sempre lo stesso pignolo che mi faceva trovare lui. Appartengo a una generazione che è venuta su illudendosi di poter trovare infiniti pignoli...».
Chi era suo nonno?
«Un miracolato della Grande Guerra. A tre dita dal cuore aveva ancora una scheggia di Shrapnel. Nel campo di prigionia in Germania sopravvisse mangiando le bucce di patata trovate nell’immondizia. Si chiamava Romualdo, era un socialista anarchico. Sua sorella Paquita, nome dell’eroina gitana di un balletto dell’800, fondò la sezione del Pci ad Albenga. Avevano tutti nomi pomposissimi, che nella realtà non venivano usati. Mio nonno Romualdo non fu mai chiamato così, ma Vittorio e più spesso “Tollu”. La zia Armida era Lida. Selvaggio era detto Selvaggin o anche solo Gin. L’unico a mantenere il suo nome era lo zio Goffredo, che però in dialetto diventava lo zio “Ho freddo”».
E suo padre?
«Combatté la Seconda guerra mondiale. Fu fatto prigioniero a Tobruk. Per riempirsi la pancia si preparava polpette di sabbia».
E lei?
«Sono venuto su con un’avversione per le armi, anche perché da bambino a ogni boccone che rifiutavo mi dicevano: “L’avessimo avuta noi questa roba in tempo di guerra”. Ho un rapporto problematico con il cibo. Penso di poter vivere con un pomodoro al giorno e per questo mi sento libero».
Per questo ce l’ha tanto con Masterchef?
«È uno spettacolo crudele: non si può umiliare e far piangere una creatura umana solo perché ha sbagliato un contorno. Ha portato danni esiziali alla convivialità. A tavola si rideva e si scherzava. Adesso tutti a criticare l’impiattamento, a fotografare i piatti col telefonino. Una tristezza».
Striscia compie trent’anni. Qual è il segreto?
«Eminenti scienziati mi hanno assicurato che Striscia è la trasmissione del futuro: per come è impaginata è già pronta ad essere fruita su tutte le possibili piattaforme. Poi Striscia è trasversale: la celebrazione del trentennale l’ha trasmessa LA7, non Mediaset. Facciamo quello che i media non fanno abbastanza: rompere le scatole a qualunque tipo di potere».
A cominciare dal suo editore Berlusconi?
«Non ho mai voluto nessun contratto di esclusiva, proprio per essere più libero. Ma il nostro primo, grosso bersaglio fu Pippo Baudo».
Nella sua autobiografia racconta che, quando divenne direttore artistico di Fininvest, lei gli rovinò la vita.
«Baudo era l’uomo più potente d’Italia. Più di Berlusconi, che all’epoca doveva infilare il cappottino a Forlani in visita. Ma il vero e malvagio segretario della Dc era Pippo. All’epoca c’era ancora il Drive In e noi continuammo a prenderlo in giro come sempre avevamo fatto. Pensava forse, non lavorando più in Rai, di avere un salvacondotto. Ma io lavoravo anche in Rai e non ho mai guardato in faccia nessuno».
Quando ha conosciuto Grillo?
«Ci eravamo incrociati nelle giovanili dell’Albenga, io terzino lui mezz’ala. Poi ci siamo frequentati nei cabaret di mezza Italia».
Aveva già passione per la politica?
«Fece la campagna all’avvocato liberale Biondi. Lo slogan era: né neri né rossi: Biondi!».
E lei?
«Quando Beppe mi chiese aiuto come autore perché era stato chiamato in Rai, ero il più giovane preside d’Italia. Passavo la notte al Derby di Milano, dormivo un paio d’ore in macchina, e al mattino ero in ufficio all’istituto per periti agrari di Coronata, con vista sul ponte Morandi».
Di chi è la colpa del crollo?
«Era un progetto nato sbagliato. La mancanza di manutenzione ha fatto il resto. Ogni volta che passavi, tremava; ma ti spiegavano che era garanzia dell’elasticità del manufatto».
Le piace il progetto di Piano?
«Il “Geometra”, così viene chiamato Renzo dalla mafia ligure, ha compiuto un atto di grande generosità donando il suo progetto, con la consapevolezza che si sarebbe esposto a critiche insulse. Domenica scorsa sono stato alla Royal Academy di Londra, dove ho fatto la fila per visitare l’esposizione in suo onore. La regina gli fa una mostra, e Toninelli non lo considera. Vorrebbe il ponte multistrato, con i ristoranti, l’asilo, mentre passano i tir al piano di sopra e io sotto faccio la sauna».
Con i suoi concorrenti lei è feroce, talora cattivo. Non è pentito di quello che ha fatto a Flavio Insinna?
«Fossi in lui ringrazierei la bontà d’animo di Antonio Ricci».
Perché?
«Ci siamo fermati. Del resto non abbiamo mai avuto problemi con i dirimpettai: Pupo, la Ventura, la Clerici, Max Giusti, Frizzi, Amadeus... È stato Insinna ad aprire le ostilità. In Rai avevano dato l’Oscar della tv a noi anziché a lui. Polemizzò così tanto che dall’anno successivo il premio fu abolito. Quando poi l’abbiamo visto da Bianca Berlinguer tessere l’elogio della gentilezza, abbiamo mostrato di quale violenza verbale fosse capace. Una violenza non dovuta ad uno sbrocco estemporaneo, ma all’ira verso i suoi collaboratori che non avevano taroccato il gioco come lui voleva. La Rai per anni ha preso in giro i telespettatori e il cattivo sono io?».
E Baglioni?
«I suoi fan mi vogliono morto, ma io Baglioni non riesco a farmelo piacere: è una questione generazionale. Uno cresciuto con I morti di Reggio Emilia non può reggere la melassa di Passerotto non andare via. All’epoca Baglioni era il preferito dai fasci. Non a caso anche stavolta l’hanno difeso, insultandomi, Sallusti e Gasparri. E queste sono soddisfazioni».
È vero che Berlusconi si arrabbiò molto, quando pedinaste Cuccia senza cavargli una parola?
«Non era arrabbiato, era annichilito: “Non si tratta così una persona anziana! Non sei stato tu a organizzare questa cosa, vero?”».
E lei cosa rispose?
«“Certo che sono stato io”».
Fini se la prese con Berlusconi quando lei mandò il filmato di Elisabetta Tulliani con Gaucci.
«Ovviamente Berlusconi non c’entrava nulla. Fu una cosa strumentale: Fini cercava un pretesto per rompere con il Cavaliere. Tutti, come da copione, presero le sue difese e attaccarono Berlusconi. Alla domenica, dopo tre giorni di bastonate, lui salì sul predellino e lanciò il Pdl al quale poco dopo dovette aderire lo spiazzato Fini. Alla fine il grande partito della destra italiana nacque anche per colpa nostra».
Chi è il più bravo tra i conduttori storici di Striscia?
«Tutti a turno sono stati campioni d’ascolti. Striscia è un lavoro di gruppo. Adesso ci sono Greggio e Iacchetti che possono contare sul lavoro eccezionale degli inviati».
Ficarra e Picone?
«Bravissimi in tv, al cinema e in teatro. Un loro film è stato premiato in Cina, alla faccia di Dolce & Gabbana. I due stilisti si sono aggiunti all’Olimpo delle grandi coppie comiche siciliane: Franco e Ciccio, Ficarra e Picone. Lo sketch “Le scuse ai cinesi” di Dolce & Gabbana è esilarante. Mi piacerebbe averli a Striscia».
E la Hunziker? Come può una bella donna far ridere?
«Per l’Italia è una novità, ma in America succede. E poi Michelle è un maschiaccio».
Si è mai innamorato di una velina?
«No, ma sono affezionato a tutte. Sono fidanzato con Silvia da quasi cinquant’anni... Sembra una perversione, invece per noi è normale: tutte le coppie dei nostri più cari amici stanno insieme da sempre».
Dopo il voto del 2013, lei disse al «Corriere» che la vittoria di Grillo sarebbe stata affidare il movimento a qualche ragazzo sveglio. Ci è riuscito?
«Ci sta ancora provando. Beppe mi ricorda un estintore chiuso nella teca, dietro il vetro da rompere in caso di pericolo. Però lo rompono un po’ troppo spesso, il vetro. Lui vorrebbe farsi gli affari propri, tornare agli spettacoli. Quando diventerà un problema per il Movimento, allora ce l’avrà fatta». Mi sa che ci siamo quasi.
I 5 Stelle riusciranno a governare?
«Anzitutto devono fare i conti con lo spietato aforisma di Lec: “Beati gli affamati di giustizia perché verranno giustiziati”. “Onestà onestà” è uno slogan e come tutti gli slogan è velleitario e semplicistico, per una qualsiasi fesseria può trasformarsi in boomerang. Si giocano tutto adesso, devono anche sfangarsela con l’Europa, altrimenti Salvini se li mangia».
Mezza Italia pende dalla sue labbra.
«Tranne che nella foto a letto con la Isoardi, Salvini è sveglio. Soprattutto può contare su un’opposizione non più credibile. Il suo miglior alleato è questa sinistra stremata dalla guerra per bande, incapace di ascoltare i problemi della gente. Solo la spocchia infinita, sorretta dalla presunta superiorità morale. Io non ho mai creduto ai Pupazzi della Provvidenza, ma so per certo che le Boldrini generano i Salvini. I populisti di ogni parte del mondo si somigliano, quasi trent’anni fa ho affidato il compito di rappresentarli al Gabibbo».
Salvini somiglia al Gabibbo?
«Il Gabibbo è la pancia: non parla, rutta. Vuol significare che in tv qualunque banale pupazzo, se bercia o arringa moraleggiando, può ottenere il massimo della credibilità e popolarità».
E Berlusconi come uscirà di scena?
«Berlusconi non uscirà mai di scena. Godrà a morire sul palco, come Molière».
Come pensa l’aldilà?
«Io penso di essere già morto. Mi preparo da quando avevo 15 anni».
Pensava alla morte già da ragazzo?
«Alle scuole elementari ci terrorizzavano con il tetano. Ci portavano, incuriosendoci, le bombe che non avremmo dovuto toccare se trovate nei campi. Da un momento all’altro doveva scoppiare l’atomica, ma io sapevo benissimo che per farmi fuori sarebbe bastata una caramella di traverso. Da allora vivo ogni giorno come se non ci fosse un domani».