Corriere della Sera, 2 dicembre 2018
Dibba, ovvero sfornare opinioni per non pensare
L’attesa messianica di Alessandro Di Battista. Torna o non torna? Resta in Guatemala a recitare il ruolo del subcomandante Dibba o risponderà «obbedisco!» a Casaleggio e sbarcherà in Italia a sostituire l’amico Giggino, in calo di credibilità e di sondaggi? Peccato sia un fake, ma c’è una pagina Facebook che ci aiuta non poco a capire le intenzioni di Dibba. Qualcuno ha immaginato dei dialoghi politici fra Dibba e suo figlio di 18 mesi. Sono spassosissimi (sono scritti nello stile di «Lettera a mio figlio sul coraggio di cambiare», il suo terzo libro all’insegna del kitsch demagogico, pieno di frasi fatte, di pauperismo italiano e guatemalteco), ma ci aiutano a capire l’astuzia con cui Di Battista sta gestendo il momento non facile per i pentastellati. Ci sono tentativi di posizionamento che vanno oltre le sue brusche analisi del tipo: «Hanno la faccia come il c…». Il Centroamerica lo consacra come duro e puro, uomo di lotta e non di governo, l’ultimo erede di Che Guevara (così s’immagina nei suoi reportage). Perché mai dovrebbe tornare in Italia a togliere le castagne dal fuoco a Giggino, vittima quotidiana della sua fragilità e dell’attivismo di Salvini? Torna, non torna? Anche l’attesa messianica sembra un fake. Al Corriere risulta che tornerà per ripartire poi verso altri lidi barricaderi. Nel frattempo, continua a sfornare opinioni, che è sempre il modo migliore per eludere l’obbligo di pensare.