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 2018  dicembre 02 Domenica calendario

Anche i pesci piangono e ridono

I pesci sono davvero muti o siamo noi duri d’orecchi? Secondo una messe di studi recenti, gli scienziati hanno scoperto, a furia di origliarli, che i pesci non solo possono provare dolore e piacere, ma hanno un’ottima memoria a lungo termine (al contrario di Dory, la spassosa pesciolina blu del film ?Alla ricerca di Nemo? che soffre di «perdita di memoria a breve termine»), sanno instaurare legami sociali, hanno istinto genitoriale, si tramandano tradizioni, sono in grado di utilizzare oggetti come strumenti e sono capaci di cooperare tra diverse specie. Che siate siete assidui masticatori di sushi o di fritto misto fate parte della schiera dei consumatori delle 2,7 tonnellate di pesci selvatici che vengono pescati ogni anno nel mondo (un terzo dei quali finisce nei mangimi per polli, maiali e pesci d’allevamento). Sapendo queste nuove cose, il veganesimo vi aspetta. Il dibattito, e la recente ondata di pubblicazioni scientifiche sul tema, è stato scatenato dal saggio «Why fish do not feel pain», perché i pesci non provano dolore, del neuroscienziato australiano Brian Key e pubblicato sulla rivista Animal Sentience.

LA NEOCORTECCIA
Key sostiene che «solo i mammiferi sono in grado di provare qualcosa perché solo i cervelli dei mammiferi possiedono una struttura chiamata neocorteccia (nell’uomo rappresenta circa il 90% della superficie cerebrale ed è considerata la sede delle funzioni di apprendimento, del linguaggio e della memoria, ndr)»; il pesce, invece, privo di neocorteccia, non prova nulla. Carl Safina, biologo americano di fama mondiale, ribatte dal quotidiano britannico The Guardian: «È come dire: visto che tutti si spostano grazie alle gambe, i pesci, che le gambe non le hanno, non sono in grado di muoversi». Insomma, Key, secondo il biologo, avrebbe un unico merito (e non da poco): aver stimolato le ricerche sul cervello dei pesci, fin ora una matassa mai sbrogliata. Lynne Sneddon, direttore di medicina veterinaria alla Liverpool University, è stato il primo scienziato al mondo a scoprire che i pesci possiedono i nervi che trasmettono dolore: nel 2002 identificò negli animali gli stessi ?recettori del dolore? presenti anche nel cervello dell’uomo. Sneddon pizzicò gli scivolosi vertebrati e dimostrò come le fibre nervose, toccandoli, si attivassero: «I pesci hanno un sistema neuronale sorprendentemente simile a quello dei mammiferi», spiega, «si è sempre creduto che non avessero sentimenti, ma la presenza dei nervi è la spia che possono provare qualcosa». Se i nervi sono le fondamenta, serve però qualcosa che colleghi al cervello gli stimoli ricevuti: sono i neurotrasmettitori, ovvero le sostanze chimiche del cervello (come la dopamina e la serotonina), identici negli animali che camminano sulla terra e per quelli che nuotano nelle acque. E pure nell’uomo: i neurotrasmettitori sono coinvolti nelle sensazioni di dolore, fame e sete, della paura e stimolano sostanze chimiche simili a quelle contenute negli oppiacei e negli analgesici.

GLI ESPERIMENTI
Il team di Sneddon ha iniettato a una trota una dose di veleno d’ape e di acido acetico (che fanno saltare pure le persone): il pesce ha cominciato a respirare più velocemente e a strofinare contro la ghiaia la zona interessata dalla puntura. Dopo di che, i ricercatori hanno dato alla trota dei farmaci, come l’aspirina, la lidocaina, la morfina: il pesce si è comportato come se il male fosse svanito. «Se i pesci non provassero dolore, allora gli analgesici non avrebbero avuto nessun effetto», conclude lo scienziato. Per l’oceanografa Sylvia Earle, poi, gli umani sono dei pivelli rispetto agli animali del mare: «I pesci hanno avuto centinaia di milioni di anni per capire le cose. Noi siamo i nuovi arrivati. Non sono i pesci a essere simili a noi, ma noi a essere simili a loro». Earle chiama la cernia il «Labrador del mare»: adora i subacquei, si avvicina per essere accarezzata, impazzisce se la si gratta sulla testa e si struscia come i gatti. «Ha dei sensi che noi umani possiamo solo immaginare», spiega Earle, «Molti pesci vedono quattro colori principali, noi ne vediamo solo tre. Alcuni vedono l’ultravioletto, altri muovono gli occhi in modo indipendente tra loro, elaborando due campi d’immagine». Oltre a essere affettuosa, la cernia è intelligentissima, tanto da essersi meritata il nome di «Einstein of the reef», l’Einstein della barriera corallina: usa la coda per spostare l’esca dalle trappole, senza far scattare il meccanismo. Un comportamento che dimostra comprensione, «lo stesso livello di consapevolezza delle scimmie», scrivono i biologi dell’università di Cambridge: le cernie, infatti, imparano osservando i loro simili più esperti e si ricordano della paura, diventano diffidenti verso gli umani se hanno subito un attacco da parte dei sommozzatori. I ricercatori parlano molto meno del piacere, una sensazione di cui però possiamo più facilmente intuire la natura: d’altronde, che cosa spinge centinaia di migliaia di salmoni, tutti gli anni, a nuotare controcorrente per chilometri e chilometri, se non il sesso?