il Fatto Quotidiano, 2 dicembre 2018
Tonnellate di hashish con il nome di Riina
Ci mancava solo l’hashish “Totò Rina”. Arriva qualche anno dopo il caffè e olio col marchio “Zu Totò”, una vecchia idea della figlia e del genero del boss corleonese della mafia, dopo i 38 tra ristoranti e fast food intitolati in Spagna alla mafia, italiana o americana poco importa, dopo il Corleone tour offerto qualche tempo fa a qualche comitiva di turisti intercettati all’aeroporto di Palermo per presentare come attrazioni i luoghi delle più efferate stragi, e più recentemente dopo i bracciali con il marchio del clan Sibillo diffusi tra i vicoli di Napoli. A dimostrazione che la mafia e la camorra sono dei brand di successo. Marchi utili da appiccicare su prodotti e servizi legali per renderli più attraenti sul mercato, e anche su quelli illegali, per infiocchettarli di fascino criminale: secondo le logiche di chi agisce in questi mondi, l’erba che si fa credere venduta da un cartello mafioso di prestigio vale sicuramente di più di quelle prodotte da consorterie meno pericolose.
Eccoci così al caso delle sei tonnellate di “fumo” che viaggiavano dritte verso la Sicilia in una vecchia barca a vela, in panetti con lo stemma “Totò Rina”. Il nome del boss siciliano (senza una i) era appiccicato su alcuni dei sacchi di iuta contenenti 6.360 kg di hashish sequestrati ieri nel porto di Trapani grazie a un blitz della Guardia di Finanza che ha arrestato due spagnoli e un colombiano a bordo della “El Canonero”, una imbarcazione bianca di 12 metri. Roba che se venduta bene al dettaglio in Europa, avrebbe potuto fruttare circa 50 milioni di euro. Tra le confezioni di hashish sequestrate dal comando regionale Sicilia della Guardia di Finanza, che secondo gli inquirenti potrebbe provenire dal Marocco, ne hanno trovate anche alcune racchiuse in sacchi marchiati “Google”. Un modo per distinguere la qualità della droga e i mercati di riferimento. La migliore dovrebbe essere la “Totò Rina”. Chiamata così perché destinata alle piazze siciliane.
Basta spostarsi a Napoli ed ecco un altro modo originale di sfruttare l’appeal mafioso. Come riferisce la testata stylo24.it, tra i quartieri di San Biagio, Forcella e la Sanità si producono e sono in vendita monili, bracciali e collane di poco prezzo con i simboli dei clan camorristici. Il sito riporta le foto dei bracciali che portano al centro una piastrina dove sono state incise la “F” e la “S” inframmezzate dal numero 17. È il logo dei Sibillo, il clan della “paranza dei bambini”: “FS” sta per “famiglia Sibillo”. Bigiotteria simile, con la scritta “FS”, è attribuita ad un altro clan, i Sequino. Comprarli e indossarli sono segnali di rispetto e di appartenenza. E le cose non sono cambiate molto rispetto agli anni 70, quando tra Napoli e i paesi vesuviani circolavano i gioielli firmati “Nco”, la sigla della Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo. Ma in quei casi non era bigiotteria: erano gioielli d’oro, di gran valore, destinati agli affiliati di rango. E utilizzati come dono per “persone di riguardo”.
L’hashish “Totò Rina” doveva arrivare in Sicilia, dove continuano a esistere piccole attività commerciali – ristoranti, negozi di magliette, bar – intitolate con nomi che inneggiano alla cultura mafiosa. Uno sfregio alla memoria delle vittime, che rinnova il dolore dei familiari. Il pensiero corre al tentativo della figlia del capo dei capi, Maria Concetta Riina, e del marito Antonino Ciavarello, di vendere su Internet le cialde di caffè “Zu Totò”.
Salvatore Riina era morto da pochi giorni quando nel dicembre 2017 fu bloccata la vendita online dei prodotti. I coniugi Ciavarello-Riina si erano trasferiti nel 2012 in Puglia, in un paesino della provincia di Brindisi, dove il genero del boss defunto stava scontando un residuo di pena agli arresti domiciliari per una truffa compiuta nel 2009 a Termini Imerese. L’iniziativa fu preceduta da un sondaggio, un’operazione di marketing rudimentale sulla pagina Facebook di Ciavarello: “Se produciamo il caffè ‘Zu Totò’, lo comprate?”. Il post fu rimosso, ma nel frattempo erano arrivate molte risposte affermative, che incoraggiarono l’impresa ad andare avanti. La mafia è un brand che funziona, purtroppo.