Il Sole 24 Ore, 2 dicembre 2018
Quando lo spread spaventava i tedeschi
Lo spread è la differenza fra i tassi dei Buoni del Tesoro italiani e degli omologhi Bund tedeschi: quando cresce lo spread e si alzano i tassi sui titoli di Stato italiani, si innesta una pericolosa e onerosa catena che aumenta conseguentemente il costo del denaro anche per le banche, le imprese e le famiglie, con appesantimento dei fattori produttivi italiani.
Per capire meglio gli andamenti dello spread occorre ricostruirne la storia. Così si scopre che lo spread è sempre esistito negli ultimi sessant’anni, perché è impossibile che sia identica la fiducia verso i titoli di Stato italiani e tedeschi.
Però scopriamo che dal 1957 all’agosto 1974 lo spread era opposto, cioè penalizzava, fino al massimo di circa 300 punti base (il 3%), nel 1966, i titoli della Repubblica Federale tedesca e non quelli della Repubblica Italiana.
Gli anni Cinquanta e i primi Sessanta furono quelli del “miracolo economico” italiano con assai competitivi fattori produttivi. Fino al 1967 il debito pubblico italiano era inferiore a soli 10 miliardi di Euro e il debito annuale delle amministrazioni pubbliche italiane era inferiore ad un miliardo. Poi il deficit e il debito pubblico italiani si impennarono, in forte progressione.
Nell’agosto 1974 avvenne la terribile strage del treno Italicus a San Benedetto Val di Sambro, nell’Appennino bolognese, e in concomitanza a quella data lo spread iniziò ad essere favorevole ai titoli di Stato tedeschi.
Man mano crescevano deficit e debito pubblico italiani, tensioni e crisi nella penisola, cresceva anche lo spread che penalizzava ulteriormente l’Italia. Nel 1981 subì una forte crescita e nell’agosto di quell’anno divenne a due cifre: nell’81 si ricorda l’attentato a Papa Giovanni Paolo II in Piazza San Pietro, una ulteriore fase di terrorismo in Italia, la scoperta degli elenchi della P2, fatti che accrebbero la sfiducia verso l’Italia.
Dall’estate dell’83 lo spread, invece, si ridusse ad una cifra, per dimezzarsi in due anni: quella era una fase di stabilità italiana caratterizzata anche dall’emblematica riforma della scala mobile.
Ma la decisiva svolta per una forte riduzione dello spread si evidenziò nella seconda metà degli anni Novanta, quando l’Italia decise di entrare da subito nella nuova moneta unica europea, l’Euro, nonostante il debito pubblico italiano continuasse da decenni a crescere. Dalla fine degli anni Novanta lo spread ritornò quasi irrisorio, molto sotto i cento punti base (l’1%), per rimanervi stabilmente per un decennio, fino a fine 2008, quando ricominciò a crescere in concomitanza della crisi mondiale e in presenza di un sempre crescente debito pubblico italiano.
A novembre 2011 lo spread a sfavore dell’Italia raggiunse i 500 punti (5%), nella crisi dei debiti sovrani. Allora il sempre crescente debito pubblico italiano aveva raggiunto i 1.900 miliardi, raddoppiando dal 1992.
Il resto è storia più recente, con fasi diverse e altalenanti, col debito pubblico che cresce ogni anno e con politiche economiche nazionali che rassicurano o meno i mercati internazionali dai quali dipende non poca parte delle collocazioni dei nuovi titoli della Repubblica Italiana.
(Presidente Associazione Bancaria Italiana)