il Giornale, 30 novembre 2018
Intervista a Ferran Adrià
Metti una mattina a colazione con Ferran Adrià. Praticamente il messia della cucina contemporanea, solo che i pani e i pesci non li moltiplica ma li sferifica. Il Pablo Picasso della cucina contemporanea, il Maradona del sifone. Un genio. Ci parliamo per 15 minuti che diventano 22, parla in prima persona plurale per valorizzare la sua squadra, ci inonda di carisma e cazziatoni in spagnolo. Del resto è uno che, per ottenere che i suoi collaboratori riproducano i piatti in maniera perfetta al millimetro, realizza dei modellini in plastilina.
Incontriamo Adrià a Milano, nel flagship della Lavazza, con cui ha realizzato il libro «Coffee Sapiens» (nella foto piccola con il libro e Giuseppe Lavazza), che fa parte di Bullipedia, l’ambizioso, visionario e francamente pazzesco progetto di enciclopedizzare lo scibile della cucina contemporanea, che entro qualche anno dovrebbe vedere il suo compimento. Perché Adrià non è uno che affida il suo genio all’insana badante della follia, ma alla nutrice della sapienza, della tassonomia.
Quindi, Ferran, che cos’è «Coffee Sapiens»?
«È un libro bellissimo, nel quale abbiamo incorporato tutto quello che c’è da sapere sul caffè, dalla pianta al negozio. C’è tutta la conoscenza basica, che può servire sia a chi lavora il caffè sia a chi lo beve. Tutto il mondo parla della cultura del vino, di quale uva è fatto, da che pianta. Questo libro ci dice che se vogliamo amare il caffè dobbiamo comprenderlo. Con gli esperti di Lavazza abbiamo sapientizzato il caffè».
Per noi il caffè è l’ingrediente più contemporaneo che c’è.
«Il caffè è la pianta, è la bevanda, è il locale. È un prodotto se lo compri, una bevanda se la bevi. E quando chiedo un espresso al barista, egli è un cocinero, un cuoco».
Chiama il barista, ordina un espresso, lo beve.
«Vedi, quando tu degusti un caffè, l’esperienza organolettica, emozionale è molto complessa perché è l’unica che coinvolge tutti e cinque i sensi. Sì, ci sarebbe anche il sesso, ma non lo fa in modo abbastanza completo».
Che pensi della tradizione italiana del caffè? Un patrimonio o un limite?
«La conoscenza della tradizione, delle origini, è fondamentale. Voi in Italia avete una tradizione. Ma che succede in Spagna? E in Portogallo? E in Colombia, que pasa en Colombia? La grande rivoluzione dell’Italia è stata creare il concetto di espresso, ma è una rivoluzione recente rispetto alla storia secolare del caffè come infusione».
Nel 2011 hai chiuso El Bulli. Ora a che punto sei?
«Abbiamo finito il ciclo 2013-2018. Nel 2019 inizia un ciclo che durerà fino al... 2025? L’anno prossimo aprirà il nuovo Bulli a Cala Montjoi avrà 6mila metri, sarà un laboratorio. Poi altri 6mila metri nell’archivio museo di Barcellona. Abbiamo 35 libri da pubblicare. Il nostro focus è l’innovazione».
Innovazione in cucina?
«Non solo. Vogliamo creare un modello per migliorare la conoscenza. E migliorare il modello di un ristorante».
Come è cambiata la cucina nel mondo da quando hai chiuso El Bulli?
Sbuffa. «Normalmente non parlo di cucina. Va bene, ti spiego. Anzi ti chiedo. Parliamo di avanguardia. Qual è la differenza tra la nouvelle cuisine del secolo ventesimo e quella attuale? E che differenza c’è tra nouvelle cuisine e cucina tecnoemozionale? Se ti dico Frédy Girardet, tu sai chi è? Non lo sai, vero?».
No...
«Ok, l’intervista è terminata».
Ma...
«Scherzo. Provoco. Ma vedi: la cucina e la gastronomia sono una cosa accademica. La conoscenza è nelle università. Ci vogliono analisti. Tutti a dire di Marchesi in Italia, ma io non ho visto un lavoro di Marchesi... Però mi dicono che prima di lui c’è stato un altro cuoco che fu il primo chef moderno in Italia...»
Angelo Paracucchi?
«Quello. Vedi? Se non si conosce il passato non si capisce il presente».
E quindi?
E quindi andiamo a 15 anni fa. Il Perù nessuno sapeva dove fosse. Messico? Era il Tex Mex. Il Giappone? Era il sushi. Gli stati Uniti erano McDonald’s. La Danimarca? (ride) Era letale, si mangiava muy malo. Il Noma era sconosciuto. C’è stata un’apertura, meglio una demonopolizzazione della creatività. Ora puoi trovare la grande cucina ovunque, anche a Singapore. Ora uno chef dal Cile può diventare il migliore del mondo. Merito del Bulli. Perché abbiamo detto: tu puoi, tu puoi, tu puoi».
Ci sarà una nuova avanguardia in cucina?
«Avanguardia è quando uno apre e gli altri entrano e fanno meglio. Ma questo è difficile da immaginare oggi. Però quando ho iniziato io il Giappone era Marte e noi non siamo l’ultima generazione del mondo. Il futuro della gastronomia è la conoscenza».
Ultima cosa: ci regali quel foglietto che per tutta l’intervista hai riempito di scritte e disegnini esplicativi?
«No».