Il Sole 24 Ore, 30 novembre 2018
Reddito di cittadinanza, ipotesi 500 euro
Cinquecento euro. È questo l’importo medio mensile di reddito e pensione di cittadinanza stimato dai consulenti del ministero del Lavoro. Una cifra che tuttavia è destinata a fare i conti con il fondo in manovra: 9 miliardi totali, di cui 7,1 per il reddito, uno per le pensioni e uno per la riforma dei centri per l’impiego. Si tratta dunque di capire come l’importo medio sia conciliabile con la platea potenziale calcolata finora in 5 milioni di persone. A maggior ragione se si detraggono i 2,25 miliardi di potenziale risparmio determinato dalla partenza dell’assegno dal 1° aprile.
Il ministero guidato da Luigi Di Maio assicura comunque di aver trasmesso all’Economia la prima bozza del decreto legge dedicato: circa venti articoli, sui quali i tecnici della Ragioneria generale dovranno dire la loro.
Tra le novità dell’ultim’ora c’è la previsione di sei mensilità, sotto forma di sgravio, alle imprese che assumono non solo donne, ma anche disoccupati di lungo periodo (oltre i 24 mesi). Confermate le tre mensilità per tutte le altre assunzioni di beneficiari e le 100 ore di formazione gratis. Resta la griglia dei requisiti base per l’accesso (Isee fino a 9.360 euro) e dei criteri per l’integrazione al reddito fino al tetto di 9.360 euro annui: fino a 30mila euro di capitale immobiliare oltre alla prima casa, patrimonio mobiliare entro i 10mila euro per famiglie con più figli. Maggiorato, anche questa è una novità, di 5mila euro per i disabili. La quota affitto di 300 euro va aggiunta, nel limite di 780 euro per un single, o tolta, se la casa è di proprietà. I coefficienti per stabilire di quanto cresce l’assegno in base al numero dei componenti del nucleo familiare sono fissati a 0,2 in più per ogni adulto e 0,4 in più per ogni minore. Nell’ipotesi estrema di una famiglia di due disoccupati in affitto con quattro figli l’assegno arriverebbe alla cifra record di 18mila euro annui.
Il cavallo di battaglia del M5S rimane al centro delle polemiche. Colpa dell’annuncio, una settimana fa, del vicepremier Luigi Di Maio: «Ho già dato mandato di stampare le prime cinque o sei milioni di tessere elettroniche». Una fuga in avanti, corretta ieri. «Nessun giallo: da due settimane ho dato ordine al mio staff di lavorare con Poste per tutto, inclusa la stampa delle tessere», ha spiegato il leader M5S da Bruxelles, dove ha incontrato la commissaria alle Politiche sociali, Marianne Thyssen, che gli ha ribadito l’impossibilità di ricorrere al Fse per finanziare il reddito minimo. Ma giallo ha chiamato giallo, con il Pd che è insorto in commissione Bilancio alla Camera. Sia il dem Anzaldi sia il Codacons hanno presentato esposti all’Anac di Cantone per ottenere chiarezza sul ruolo di Poste.
Quello che sembra definirsi, in ogni caso, è un doppio binario: quota 100 negli emendamenti alla manovra, il reddito nel decreto. Il nodo sono i tempi. Il ministro Fraccaro ha anticipato la possibile fiducia sulla manovra, attesa lunedì in Aula. La trattativa con l’Europa dovrà procedere spedita, se si vuole sventare la procedura d’infrazione. Chiarendo il destino dei “decimali” (lo 0,2% almeno recuperato da quota 100 e reddito). Il 2,4% «non è nei dieci comandamenti», ha ribadito il vicepremier leghista Matteo Salvini. Parole distensive, per il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, che però ha avvisato: «Il punto debole non è l’aggiustamento di qualche decimale, ma l’impatto della manovra sull’economia reale: quanta più occupazione genera, quanta crescita crea accelerando investimenti pubblici e privati».