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 2018  novembre 30 Venerdì calendario

Al poligono, tra pochi Rambo e tante donne

Eccola qui, l’Italia che spara. Un poligono a caso, il Tiro a segno di Sassuolo, provincia di Modena, capitale mondiale della piastrella e solide tradizioni di sinistra, anche se il rosso antico è molto sbiadito. Giovedì pomeriggio e parcheggio pieno nella struttura, tecnicamente nel vicino Comune di Fiorano: del resto, il Tiro a segno è aperto solo oggi e nel weekend, perché nel resto della settimana vengono a spararci gli «istituzionali», in primis i cadetti dell’Accademia militare di Modena.
Chi però crede di trovarci degli aspiranti giustizieri della notte o dei Rambo di provincia, impazienti di scaricare le loro Beretta sul primo ladro che viola i sacri confini di casa sua, resta deluso. Certo, alla fine tutti dicono che, nei panni del pluriderubato di Arezzo, avrebbero fatto lo stesso. Però il paradosso è che chi viene qui le armi impara a maneggiarle non solo dal punto di vista manuale, ma anche da quello psicologico. Insomma, diventa più consapevole, e magari più prudente, di chi invece ha unicamente visto i film di ammazzamenti in tivù, e troppi. Lo spiega bene il direttore, Roberto Brogli, tipo di gentiluomo di campagna con più uso di mondo e di congiuntivo della maggior parte dei ministri del Conte I: «Lo dico a tutti: quando vi mettete un’arma in casa, non avete risolto un problema, ne avete uno di più. È come comprarsi la Ferrari: benissimo, ma bisogna anche saperla guidare. Noi insegniamo alle persone a usare le armi, non ad abusarne. E, se le si usa, dev’essere l’extrema ratio». Infatti il severissimo regolamento vieta «l’abbigliamento militare specialistico». «Insomma, se vuoi pitturarti la faccia e vestirti da Rambo lo fai a casa tua, qui no», chiosa Brogli. Però, se lei fosse stato al posto di Fredy Pacini, che avrebbe fatto? «Ammetto: avrei sparato. Se non hai tempo e modo di chiamare i carabinieri, se sei minacciato, proteggi i tuoi figli e i tuoi beni. Poi sul caso di Arezzo deciderà il giudice. Anche quel gommista, fra i continui furti, il processo e la consapevolezza di aver ucciso un uomo, ha la vita distrutta. E in ogni caso il ministro dell’Interno, invece di commentare, dovrebbe chiedere conto al questore di come sia possibile che qualcuno venga derubato trentotto volte».
Un ambiente interclassista
Sta di fatto che l’appeal del grilletto aumenta. Il Tiro a segno ha 1700 soci, che sui 40 mila abitanti di Sassuolo e i 17 mila di Fiorano non sono pochi (in tutta la provincia di Modena i poligoni sono in tutto quattro, ma uno è chiuso e un altro, quello di Carpi, è bruciato due settimane fa). La quota d’iscrizione costa 75 euro all’anno, il corso per imparare a sparare, tutto incluso, noleggio del fucile o della pistola compreso, sui 160 euro: molto meno che giocare a golf, o mangiare in un tre stelle. Dei 200-250 «nuovi» che arrivano ogni anno, più o meno la metà ambisce al porto d’armi, gli altri vogliono soltanto fare dello sport. E la composizione sociale? «Guardi il parcheggio», sorride Brogli. Il parco macchine va da una Ferrari a tre Panda. «È un ambiente interclassista, dove trovi di tutto e di tutti, dal dirigente all’operaio».
La sensazione di insicurezza
La novità sono le donne. «Cinquant’anni fa, quando ho iniziato io, erano lo zero virgola poco. Adesso sono il 15 per cento circa, e la percentuale è costantemente in crescita». E, al solito, mostrano mediamente più cervello dei maschietti: «Alla prima lezione, gli uomini, specie i giovani un po’ troppo entusiasti, sono già tutti istruttori di tiro. Le donne invece vogliono imparare», spiegano all’unisono Marco e Massimo, che istruttori lo sono davvero. Prendete Tina, 42 anni, tipografa e cacciatrice: «Vengo per tenermi in allenamento, una volta al mese, e anche per rilassarmi. Il gommista? Non so, probabilmente avrei fatto come lui». E un habitué come Michael, 25 anni, titolare di un’armeria a Castelvetro, spiega che sì, la sensazione di insicurezza c’è, molte donne sono spaventate, ma in ogni caso la vendita di armi non è aumentata, «invece è boom per lo spray al peperoncino, pare che tutte lo vogliano nella borsetta». È un’Italia che crede che sia legittimo difendersi, però a mente lucida. Enea, 66 anni, pensionato, anche lui con la pistola in mano: «Esigenze di difesa ne abbiamo tutti, nello sfortunato caso, meglio saperlo fare. No, a me non è mai capitato, per fortuna. Ma rispetto a Pacini, forse io avrei sparato anche prima». 
Insomma, grilletto magari sì, ma di certo non facile. Per incontrare qualcuno che invece gli slogan sicuritari di moda, da «padroni a casa nostra» a «la difesa è sempre legittima», li proclama alto e forte, bisogna interpellare il tassista. Però scusi, lei la pistola ce l’ha e, nel caso, saprebbe usarla? «No». Appunto.