la Repubblica, 30 novembre 2018
Due ore per fare 50 chilometri, i forzati della Milano-Bergamo
Il treno fantasma finalmente si muove. Partiamo alle 7.37 dalla Stazione di Porta Garibaldi a Milano con solo sei minuti di ritardo, un vero record per il materiale rotabile accidentato e vetusto che circola in Lombardia con il marchio di Trenord. Siamo diretti verso le montagne, nella provincia manzoniana di Lecco, una delle più industrializzate del paese, per poi valicare l’Adda a Paderno e approdare in territorio bergamasco e sbarcare sulla banchina della stazione di Bergamo, città che reca ancora il segno del Leone di San Marco. Il confine però oggi non si valica. Dal 15 di settembre di quest’anno il ponte è inagibile: chiuso al traffico dopo il crollo di Genova. Misura cautelare. Questo ponte, che reca il nome di San Michele, l’arcangelo delle tre religioni del Libro, catafratto e munito di spada, l’ha costruito un ingegnere svizzero, Jules Röthlisberger; la leggenda lo vorrebbe morto suicida, per timore che la sua creatura di ferro – 226 metri lineari su 85 metri di vuoto –, non reggesse. Il progettista, più prosaicamente, è morto di polmonite; tuttavia sono parecchi i suicidi dall’alto. Solo due anni per edificarlo con ferro proveniente dall’estero, fuso e montato da una ditta italiana, Società Nazionale Officine di Savigliano: archi parabolici simmetrici e affiancati, leggermente inclinati tra loro a sezione variabile. Una meraviglia dell’archeologia industriale, un manufatto all’avanguardia a fine Ottocento, fratello della Torre Eiffel, che serviva a collegare alcune delle zone più industriali del neonato Regno d’Italia: Monza, Brianza, il lecchese, e poi Bergamo, e più in là ancora Brescia. Molte fabbriche tessili usavano all’epoca l’energia dell’Adda, che qui ha scavato un letto profondo e tortuoso, ispiratore, si dice, dei paesaggi leonardeschi. Non si passa. A Paderno i tecnici delle ferrovie hanno tremato, così il Ponte resta chiuso per due anni: niente più auto sopra, niente più treni sotto.
Così la stima, e già si dice che sarà di più. Molti scendono prima arrivare alla soglia finale, sul ciglio del baratro: Paderno-Robbiate. La chiusura del manufatto ha causato non pochi problemi a chi abita tra le due rive, a chi deve andare a scuola di qua o di là dal confine, a chi lavora a Bergamo, o chi invece a Monza, in Brianza, a Sesto San Giovanni o a Milano. Ci sono due università non lontano: Milano Bicocca e Bergamo. La statistica dice che sono oltre 2 milioni i residenti delle province limitrofe. Va bene che non tutti si muovono, ma almeno nella zona ci sono migliaia e migliaia di persone coinvolte. Lì ci passavano 30.000 automobili ogni giorno. Code lunghissime ai due ponti rimanenti, a Brivio e Trezzo, e i viaggiatori a compiere un percorso di almeno due ore, se va bene. Stop anche a questo. Chi vuole andare a Bergamo oggi deve scegliere l’altra linea ferroviaria, che corre più in basso, in pianura; passa da Treviglio e prima da Pioltello-Limito, la stazione del pezzo di legno tra le traversine per sorreggere il traffico impressionante che viene dall’Est. Siamo arrivati a Paderno. Si discende dal materiale rotabile e ci si raccoglie sulla piattaforma.
Siamo dieci, forse venti persone. Molti di più aspettano per salire e tornare indietro, a Milano. Il pullman ci attende fuori dalla stazione. Salgo. Ci sono quindici persone sedute. Si riparte. Destinazione questa volta Calusco, subito di là dal manufatto dell’ingegner Röthlisberger. In linea d’aria sono meno di due chilometri. Il guidatore con mano sicura lancia il suo ingombrante veicolo sulla strada: dalle ruote di ferro a quelle di gomma. Un salto in avanti o un passo indietro nel passato?
Verderio, poi Robbiate. Scorre il ponte sulla destra: bellissimo, un segno tracciato tra le rive verdissime e sulle acque di colore blu profondo. L’ingegner Röthlisberger sapeva il fatto suo, aveva stile, e dopo 130 anni l’opera è ancora lì con il suo elegante profilo: un arco parabolico e due linee orizzontali stese sopra. Non c’è molto traffico oggi. Siamo a Imbersago, lasciamo a destra il traghetto leonardesco, e ci fiondiamo letteralmente sul ponte di Brivio, costruito nel 1917 con il cemento dalla Ferrobeton. Entrati nella bergamasca, si va verso Villa D’Adda, memoria di Renzo Tramaglino in fuga da Milano.
Nessuna fuga, solo pendolarismo, movimento di andata e ritorno proprio del mondo contemporaneo. Sarà, ma certo indietro non torno per questa via disagiata, scenderò a Milano via Treviglio: costo settanta centesimi in più. Prima di accostarci alla stazione di Calusco c’è la visione dell’immenso cementificio del paese, ben più alto del cupolone della chiesa. Sono le 8.47. Il treno da Calusco a Bergamo deve ancora arrivare. Aspettiamo sul marciapiede. Ci sono quattro ragazze che vanno anche loro all’Università. Mi raccontano che loro prendono il pullman tutti i giorni, da Paderno e poi col treno.
C’è una possibilità che però stamane hanno saltato, avendo lezione tardi nella mattinata: il pullman delle 6.45. Va dritto a Bergamo facendo l’autostrada. L’hanno messo dopo che i genitori della zona hanno protestato con Trenord e raccolto le firme. Sarebbe l’autobus degli studenti, tuttavia qualche volta alcuni restano a terra: sono in troppi.
Non c’è il diretto al ritorno. Ore 8.57: arriva in leggero ritardo. Si riparte alle 9.15. A Terno, prima fermata, si riempie: immigrati, famiglie con bambini, studenti. I lavoratori pendolari sono già arrivati da un pezzo, quelli entrano alle 8.00. Poi c’è Ponte San Pietro, altra gente che sale, nessuno che scende. Finalmente siamo a Bergamo. Sono le 9.40.
Poco più di due ore per fare 50 chilometri. Non è un record assoluto, ma nella modernissima Lombardia è già qualcosa di significativo. Qui si vive divisi da un fiume. Sarebbe ora di gettare nuovi ponti, non solo metaforicamente, e sbrigarsi a riparare i vecchi fisicamente.