30 novembre 2018
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Biografia di Federico Faggin
Federico Faggin, nato a Vicenza il 1° dicembre 1941 (77 anni). Fisico. Inventore nel 1971 del primo microprocessore (Intel 4004). Imprenditore. Cofondatore ed ex amministratore delegato di Zilog, Cygnet Technologies e Synaptics. «Prima di Faggin, la Silicon Valley era semplicemente una valle» (Bill Gates). «Il computer più potente del mondo è e resterà sempre il cervello umano» • «Cosa è un microprocessore? Proviamo a spiegarlo in parole semplici. “Non è altro che un computer ridotto in un chip di silicio con un volume inferiore a un centimetro cubo. Quando l’ho messo a punto, nel 1971, è stata una svolta. Pensi che l’Univac I (Universal Automatic Computer I), il primo computer commercializzato nella storia nel 1951, occupava 100 metri quadrati, più o meno come un appartamento”» (Alessandro Dell’Orto) • «Suo padre Giuseppe insegnava filosofia al liceo classico e teneva corsi di Estetica all’Università di Padova. Il piccolo Federico aveva altre ambizioni. Un giorno, a otto anni, mentre giocava con i cubi sul tappeto, domandò: “Papà, che cosa posso inventare?”. E il babbo, serio, senza staccare gli occhi dal giornale: “Prova a fare entrare il mare in un bicchiere”. Non sapeva che avrebbe perso la scommessa» (Riccardo Chiaberge). «“A 11 anni gioco con un amico in un campetto e vedo un ragazzo che fa volare un aeroplanino. Resto stupefatto. Non ho soldi per comprarlo e decido di costruirlo da solo: lo disegno, lo progetto, compro i materiali, lo fabbrico e lo lancio. […] Un flop: non si alza da terra. Ci riprovo: nulla. E capisco che anche per far volare un giocattolo bisogna studiare. Così compro il mio primo libro, e poi studio radiotecnica per imparare a costruire una radio per telecomandare l’apparecchio. Nasce così la passione per l’elettronica”. Ma alla fine l’aereo decolla o no? “Certo, e progettare aeroplani diventa il mio hobby”. […] Scuole? “Mio padre, insegnante di storia e filosofia al liceo classico, preme per farmi fare studi umanistici, ma io insito e mi iscrivo all’Istituto tecnico industriale Alessandro Rossi di Vicenza”. Appena diplomato trova lavoro alla Olivetti a Borgo Lombardo, vicino a Milano. E costruisce un computer da solo. “Di dimensioni ridotte, grande quanto un piccolo armadio. Un lavoro che poi, in piccola parte, servirà per arrivare all’Olivetti Programma 101, il primo personal computer al mondo”» (Dell’Orto). «Ma il desiderio di approfondire le sue conoscenze portò poi Faggin all’Università di Padova, dove conseguì la laurea in Fisica nel 1965. Subito dopo egli entrò a far parte della Sgs: una società produttrice di semiconduttori (che oggi si chiama St, dopo la fusione con una società francese). A quel tempo la Sgs era collegata con la californiana Fairchild, sicché avvenne che Faggin fu inviato per un periodo di aggiornamento negli Stati Uniti, dove poi scelse di rimanere. Qui Faggin si dedicò alla tecnologia Mos (metallo-ossido-semiconduttore), che allora – siamo alla fine degli anni ’60 – era appena agli inizi. […] E proprio Faggin fu l’autore di innovazioni essenziali per l’affermazione della tecnologia Mos. Fra queste, lo sviluppo della tecnica della porta al silicio (silicon gate), usando come conduttore silicio policristallino drogato anziché alluminio. […] Faggin lascia la Fairchild per entrare a far parte di un’altra società operante nella Silicon Valley, la piccola Intel, fondata da poco ma destinata a fare parecchia strada. […] All’epoca, il prodotto che garantiva il fatturato di Intel erano le memorie a semiconduttore. […] Quando la società giapponese Busicom nel 1969 propose a Intel di realizzare i chip necessari a costruire una macchina calcolatrice programmabile, il progetto fu accettato e affidato all’ingegnere Ted Hoff e al programmatore Stanley Mazor, ma poi rimase a languire a lungo senza sviluppi. Tanto che la Busicom, a un certo punto, fu a un passo dal rescindere il contratto. Qui entra in gioco il neoassunto Faggin, a cui viene affidato il compito di portare avanti il progetto Busicom, considerato dai manager dell’azienda del tutto secondario rispetto al settore di punta delle memorie. Allora il giovane fisico vicentino avvia subito la progettazione del chip set, grazie al know how specifico di cui dispone riguardo alla tecnologia Mos. Si trattava di quattro moduli, che poi saranno denominati con le sigle da 4001 a 4004: i primi tre erano dispositivi di memoria (Rom, Ram e registri) relativamente standard; il quarto, denominato 4004, costituiva una unità centrale di elaborazione (Cpu) completa di tutte le sue parti, per la prima volta realizzata nella forma di un unico integrato. Qui bisogna dire che l’idea del “computer on a chip”, cioè realizzare tutte le parti essenziali di un calcolatore in una lastrina di silicio, era già nell’aria da qualche tempo. Ma l’idea andava concretizzata, cosa per nulla facile tenendo conto del livello della tecnologia che era disponibile all’epoca. E in questo sta appunto l’opera di Faggin, che riesce a centrare l’obiettivo apportando contributi fortemente innovativi» (Giovanni Vittorio Pallottino). «Come ci arriva, a un risultato così clamoroso? “Lavorando giorno e notte, 80 ore a settimana, perché il progetto Busicom è in ritardo di sei mesi e devo recuperare il tempo perso”. Ed ecco il momento della verità: il test definitivo. “Pochi giorni prima del Capodanno del 1971 arriva il chip. Sono tutto solo, e fortunatamente nessuno vede quanto sono nervoso. Lo inserisco e…”. Funziona! “Macché: non va proprio nulla. Provo, riprovo e, demoralizzato, osservo il chip al microscopio. E scopro che hanno sbagliato a costruirlo”. Allora ci riprova. “Tre settimane dopo arriva il nuovo chip. Sono solo, inizio a lavorare alle 18 e alle 4 di mattina è il momento decisivo. Ansia. Provo, e questa volta è perfetto: il chip funziona!”. E che fa? “Torno a casa da mia moglie Elvia, che mi sta aspettando alzata, e festeggiamo: dopo quasi nove mesi è nato l’Intel 4004, il primo microprocessore della storia che in 3 per 4 millimetri quadrati offre una potenza di calcolo superiore a quella dello storico Eniac, il primo computer elettronico al mondo costruito nel 1946”. Con tanto di iniziali F.F. (Federico Faggin) sul dorso» (Dell’Orto). «Ma non basta: negli anni successivi Faggin segue come supervisore lo sviluppo di altri due microprocessori, costruiti utilizzando le tecnologie messe a punto per realizzare il 4004: questi dispositivi, denominati 8008 e 8080, sono i progenitori della famiglia dei microprocessori più usati oggi, cioè quella che ha condotto Intel al successo. E non basta ancora, perché a Faggin si deve anche, sin dall’inizio, una chiara visione delle prospettive del microprocessore al di là del suo impiego nelle macchine da calcolo, intendendolo cioè come dispositivo programmabile d’impiego generale in apparati di controllo, e quindi con potenzialità d’impiego assai più vaste. Questa visione, inizialmente non condivisa dai manager di Intel, lo condusse infatti a trasformare i quattro chip sviluppati per la società Busicom in un chip set di impiego generale (Mcs-4), il cui successo commerciale, come pure quello di dispositivi simili realizzati poi da altri costruttori, verificò in seguito più che pienamente l’ipotesi di Faggin. Infatti i microprocessori non li troviamo soltanto nei calcolatori, ma anche in una miriade di altri apparecchi, dalle macchine fotografiche alle lavatrici. Quanto alla paternità del microprocessore, sebbene il brevetto Usa 3,821,715 porti i nomi di Faggin, Hoff e Mazor, Intel preferì attribuirla ufficialmente a Ted Hoff, che aveva affrontato inizialmente il progetto, e solo dopo parecchi anni riconobbe il contributo di Faggin, che lo aveva effettivamente svolto e portato a termine. E del resto il nostro lasciò presto Intel per intraprendere una fortunata carriera industriale come scienziato-imprenditore» (Pallottino). «“Lasciai Intel per far partire la Zilog. Per indurmi a rimanere mi minacciarono di cancellare il mio nome dalla storia dell’invenzione del microprocessore”. Fu Andy Grove, fondatore e presidente di Intel, a giurarle vendetta. “Sì, sì. Mi disse proprio: ‘Se te ne vai, tu sarai cancellato dalla storia’”. Come rispose? “Beh, ero ancora abbastanza giovane e avevo un certo rispetto per l’autorità dovuto al retaggio dell’educazione italiana. Ho pensato ‘ma che figlio di…’, ma non gliel’ho detto”. […] “La storia adesso è abbastanza accurata grazie a Elvia, mia moglie. Si è battuta perché mi venisse riconosciuto quello che mi spettava quando molti giornalisti si limitavano a riportare ciò che diceva Intel senza fare le dovute verifiche”» (Martina Pennisi). «Nel 1976 vede la luce lo Zilog Z80, un processore che finirà nello ZX Spectrum Sinclair e in mille altre macchine: ancora oggi viene prodotto in centinaia di milioni di pezzi l’anno. […] Dopo Zilog, Faggin si butta sul ramo che negli anni ’90 e Duemila sarebbe diventato il cardine della nuova esplosione della tecnologia personale: la telefonia. L’azienda si chiama Cygnet Technologies, il prodotto CoSystem. È un telefono che ha rubrica, agenda, registro delle chiamate effettuate, manda messaggi di testo, permette di fare teleconferenze, tutto sulla linea telefonica normale, visto che internet è ancora un miraggio sperimentale. “Molte di quelle cose che sono qui”, dice Federico prendendo in mano l’iPhone, […] “risalgono a questo prodotto che è stato inventato nel 1984, e che purtroppo non ha avuto successo commerciale”. Quello stesso anno l’antitrust americano costringe At&t a scindersi in sette compagnie regionali indipendenti. La società perde il 70 per cento del valore, e quello telefonico diventa subito l’ultimo ramo su cui investire. Con un pareggio fissato a 15 mila pezzi, Cygnet Technologies riesce a venderne (anche al Pentagono) un terzo, e viene svenduta. “Succede. Fa parte del gioco. Era avanti per i tempi”, dice oggi Federico. […] Nel 1986 nasce Synaptics, una piccola "ditta" che si pone l’obiettivo di studiare la più avveniristica branca dell’informatica: le reti neurali artificiali. Le reti neurali artificiali sono dei modelli matematici che, prendendo a esempio il sistema nervoso delle reti neurali biologiche, cercano di sviluppare […] la capacità di imparare. Passa del tempo, e la squadra di Synaptics arriva a una conclusione amara: “Praticamente, dopo cinque anni, quello che abbiamo scoperto è che non era possibile avere un’architettura nuova”. Mancava, e manca ancora oggi, la conoscenza del meccanismo profondo dell’intelligenza. “L’architettura del computer”, continua Federico, “è un’architettura generale per un sistema simbolico. L’unica differenza tra un computer e un altro è che uno può avere più memoria e più velocità, e quindi può fare più cose. Ma in termini di capacità di risolvere problemi, se uno prescinde dal tempo richiesto, un computer è equivalente a un altro”. È forse il primo vero muro incontrato da Faggin nella sua carriera. “A quel punto lì ho dovuto decidere cosa fare”, racconta, “visto che la prima direzione ci aveva portati a una specie di vicolo cieco, anche se avevamo imparato un sacco di cose. E allora ho pensato di inventare un dispositivo che sostituisse il trackball, che poi era un mouse rovesciato e non funzionava bene. Le dita sono coperte di grasso, c’è la polvere: dopo un po’ uno muoveva la pallina, e il cursore o stava fermo o scattava. Era uno schifo. Abbiamo studiato un sistema alternativo: il touchpad”. Quando Synaptics è a due mesi dalla commercializzazione del proprio touchpad, esce il primo Powerbook con touchpad. È il maggio del 1994. Quella che sembra una disdetta è una benedizione. Allora Apple ha circa il 4 per cento del mercato ma fa già tendenza, e, quando esplode la domanda di touchpad, Synaptics c’è. Un anno dopo anche Apple adotta i sistemi di puntamento Synaptics. Ancora oggi l’azienda ha il 75 per cento del mercato globale di touchpad» (Matteo Bordone). «Quasi contemporaneamente realizza la tecnologia del touch-screen. Dopo averla vanamente mostrata a vari produttori di telefonia come Motorola e Nokia, […] Faggin incontra Steve Jobs, che, tornato in sella alla sua azienda, […] intuisce subito i potenziali del touch-screen, e chiede vanamente l’esclusiva, che Synaptics rifiuta, avendo i brevetti della tecnologia e quanto necessario per affrontare un mercato potenzialmente ancora tutto da esplorare. Così Jobs si costruisce all’interno di Apple la tecnologia per il touch-screen, aprendo il mercato alla Synaptics. La Synaptics diventa così il fornitore delle ditte che competono con Apple. Dal 2003 al 2008 Faggin presiede e dirige la Foveon Inc., spin-off di Synaptics dedicato alla tecnologia di sensori di immagini (Foveon X3 technology), che successivamente verrà acquisita dalla giapponese Sigma» (Mauro Aprile Zanetti). «Ma il problema irrisolto dell’intelligenza artificiale non è stato accantonato sulla scorta di un trionfo commerciale. Anzi. Da qualche anno Faggin ha lasciato tutte le cariche dirigenziali che aveva, e oggi il suo vero lavoro è legato alla "Federico and Elvia Faggin Foundation": una organizzazione no profit che promuove lo studio del tema della consapevolezza. È qui che gli occhi del fisico si illuminano davvero: “Il nuovo progetto è nato dal fatto che quando studiavo neuroscienze ho scoperto che non si parla mai di consapevolezza. Si studiano i sensori come oggetti che trasformano l’energia meccanica in energia elettrica, ma poi questo impulso deve essere mappato in una sensazione. E che fenomeno fisico è responsabile della sensazione? Non si sa. Io”, dice premendosi un punto sul braccio, “qui sento qualcosa. È la sensazione il mistero, non l’impulso elettrico”. La fondazione finanzia il lavoro di alcuni scienziati che si occupano del tema. “La consapevolezza secondo me è una proprietà. Lo dicono Spinoza o testi come i Veda indiani: nella cosmologia di chi ha sviluppato questi aspetti… chiamiamoli spirituali, la consapevolezza è una proprietà dell’energia base di cui tutto è fatto. C’è l’idea che ci sia un’energia cosmica che è fuori dal tempo, fuori dallo spazio, che è consapevole e dinamica, e questo dinamismo e questa consapevolezza sono inerenti in questa energia”. […] “Io ho avuto esperienze mistiche”, continua Faggin, “non legate ad alcunché di straordinario: non ero fuori dall’ordinario né lo era il mio corpo, e non ho fatto niente di particolare per averle. […] In un’esperienza la mia consapevolezza era dovunque. Quindi io avevo la consapevolezza di essere nel mio corpo, ma anche negli alberi, nei prati, fuori. […] Ero completamente ignaro di queste cose. Ma poi, una volta fatta, l’esperienza è un salto quantico in un mondo che è fondamentalmente diverso dal mondo ordinario. […] La realtà fisica secondo me è una realtà virtuale, rispetto alla realtà della consapevolezza”. […] Faggin oggi cerca un supporto scientifico a questa intuizione. […] “Non abbiamo ancora collegato il fatto che la vita è fondamentalmente informazioni e interpretazione. Pensiamo che sia chimica, biochimica, molecole che si scontrano l’una con l’altra. Quello è l’effetto, e non la causa. La causa sono le informazioni”» (Bordone) • Nel 2010 Faggin ha ricevuto dalle mani di Barack Obama la National Medal of Technology and Innovation, massima onorificenza prevista per chi abbia raggiunto eccezionali traguardi nel progresso tecnologico. Tra gli altri riconoscimenti tributatigli, il Premio internazionale Marconi (1988), il Premio Enrico Fermi (2014) e l’inclusione nel californiano Computer History Museum di Mountain View (2009) • Sposato dal 1967 con Elvia Sardei, tre figli • «Il mio modello di uomo è composto da due facce complementari: quella sintattica della fisica e quella semantica della consapevolezza» (a Fabio Di Todaro). «La vita ha due ingredienti speciali che le macchine non possono avere: il libero arbitrio e la consapevolezza. […] Forse anche l’origine dell’universo è scaturita da un atto di consapevolezza» (a Claudia La Via). «Ma questa consapevolezza, alla fine, ha a che fare con l’anima? “È certamente un aspetto di ciò che chiamiamo anima, ma preferisco non darle una connotazione religiosa. Meglio mantenere la cosa a livello scientifico”. Ci crede, in Dio? […] “Credo che ci sia una entità superiore che ha creato il tutto. Che ha creato l’esistenza. Ma a me interessa vedere questa cosa, la consapevolezza, sul piano scientifico. Da scienziato. Il mio rapporto con Dio è una dimensione privata. Riguarda solo me”» (Gian Antonio Stella) • «Negli Stati Uniti è famoso come Guglielmo Marconi ed Enrico Fermi e lo considerano parte di una triade di geni italici. Da noi è meno celebre (c’è da stupirsi?), anche se ogni tanto lo premiano con una laurea honoris causa» (Gabriele Beccaria) • «Pensa mai di tornare in Italia? “Ci vengo spesso, una o due volte all’anno, ma, no, non ci vivrei. Non riuscirei più a lavorare con la mentalità che c’è lì”. Quale mentalità? “Come si fa a fare un lavoro e venire pagato dopo sei mesi o più? Ci sono piccoli imprenditori che sono falliti perché non venivano pagati dai loro clienti, e di conseguenza non potevano pagare i loro impiegati. Non potrei mai aprire e gestire un’azienda in queste condizioni. Quando si parte con un’avventura imprenditoriale servono tanti soldi. E in Italia le banche ti danno i soldi solo se hai già clienti e un business avviato. Così per realizzare un’idea nuova, come un microprocessore, ci vuole molto più tempo. Puoi anche avere le idee e l’opportunità di aver successo, ma in un contesto del genere ci sarà sempre qualcuno che arriva prima di te”» (Pennisi). «Per produrre innovazione, l’ambiente è importante quanto le persone. Non è sufficiente essere bravi: ci vogliono anche gli stimoli giusti, le possibilità economiche, e il coraggio di prendere rischi. In Italia ce lo aveva insegnato anche Olivetti. Solo che molto spesso ce lo scordiamo. […] Lasciamo che i cervelli fuggano dall’Italia e vadano a imparare quello che qui non possono imparare. Solo così potranno tornare e restituire al nostro sistema la spinta innovativa indispensabile» • «Voglio arrivare al punto di avere una fisica che parta da princìpi cognitivi invece che da princìpi materialistici. La fisica va avanti attraverso rivoluzioni, dove uno salta fuori e dice: guardate che non dev’essere proprio così. E, siccome io per fortuna sono uno di quelli che non devono obbedire a nessuno, posso anche permettermi di dire quello che penso».