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 2018  novembre 30 Venerdì calendario

Uscire dall’euro costerebbe all’Italia 70 miliardi

Un uscita dall’euro? All’Italia costerebbe, solo di aumento dell’onere del debito, oltre 70 miliardi di euro all’anno, una cifra-monstre «superiore alla spesa pubblica complessiva per l’istruzione». Una quantificazione così precisa di un’ipotesi di ritorno allo status quo prima dell’euro arriva dal Governatore della Banca di Francia, François Villeroy de Galhau, che ieri ha tenuto una lectio magistralis a Villa Blanc dell’Università Luiss, sulle prospettive dell’eurozona. Certo, per il banchiere centrale di Parigi in carica dal 2015, questa è un’ipotesi «alla quale non credo» ha detto in un discorso fortemente improntato ai vantaggi della moneta unica e alla costruzione di un’area euro più solidale per la quale «occorre l’impegno dell’Italia», ma dove sono stati messe anche in luce le debolezze, a partire dal fatto che il paese «cresce meno di quanto dovrebbe». 
Prima dell’avvio dell’euro lo spread con la Germania era in media sopra 500 punti, poi via via è sceso, anche se «recentemente è risalito in seguito al riemergere di alcune incertezze». Presente a Villa Blanc, nella sala intitolata a Carlo Azeglio Ciampi, lo stato maggiore di Banca d’Italia pressoché al completo, con il Governatore Ignazio Visco («sediamo accanto in Bce»), il direttore generale Salvatore Rossi e i vice Fabio Panetta e Luigi Federico Signorini.
Villeroy ha quindi lanciato messaggi sulla riforma dell’eurozona: Francia e Germania a Meseberg lo scorso giugno hanno fatto le prime proposte: «So quanto l’Italia sua sensibile a questo argomento… ma vorrei dirlo da amico: accettate di guardare e discutere la sostanza, prima di preoccuparvi del principio stesso di una discussione franco-tedesca, spesso necessaria ma mai sufficiente». Poi un passaggio sulle politiche di bilancio, che porta inevitabilmente al dibattito attuale politico: su questo tema il potere è rimasto agli stati nazionali («è una buona notizia per la democrazia» precisa...) in quadro di regole del Patto di stabilità. «Il rispetto di queste regole è anche nel nostro interesse nazionale. Se deficit e debito pubblico fossero la chiave della crescita i nostri due paesi sarebbero i primi della classe, ma purtroppo non è così. A breve termine non è detto che un aumento del deficit abbia un effetto positivo sulla crescita, se globalmente è accompagnato da un premio al rischio più altro sui tassi d’interesse». Una conferenza, condotta dalla vice presidente della Luiss, Paola Severino, in cui gli studenti hanno formulato domande, ma non solo loro: il vice direttore di Bankitalia Panetta ha domandato a Villeroy de Galhau se l’attuale governance del Fondo Salva-Stati (Esm) sia adeguato al nuovo ruolo di “common backstop”: la risposta è stata che andrebbe rivista, dando maggiore elasticità ai processi decisionali. 
Insomma, in definitiva un discorso di forte impronta europeista da parte di un governatore che guarda alla ormai sempre più vicina scadenza per la nomina del successore di Mario Draghi alla presidenza della Bce (vedi anche articolo oggi a pagina 22, ndr), che dovrà essere decisa entro novembre 2019. Da segnalare che in un passaggio Villeroy parlando della missione della Bce per la stabilità dei prezzi puntualizza che il mandato «...ci è stato conferito democraticamente...». 
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Carlo Marroni