il Giornale, 30 novembre 2018
Assolto bengalese stupratore perché non ha i nostri codici culturali
Mentre in Italia femministe, personaggi pubblici, politici e starlette si segnavano il viso di rosso in segno di protesta contro la violenza sulle donne, la corte d’assise della Manche, in Francia emetteva una sentenza choc.
Un rifugiato del Bangladesh colpevole di aver stuprato nel 2015 una ragazzina di 15 anni a Saint-Lô, è stato assolto perché, secondo i giudici non era in possesso dei “codici culturali” per “prendere coscienza dell’assenza di consenso da parte della vittima al momento dei fatti”. A far cambiare idea alla corte non è servito neppure il fatto che l’uomo era già stato condannato a due anni di carcere per violenza sessuale ai danni di un’altra ragazza minorenne. E nemmeno le dichiarazioni del capitano della polizia di Saint-Lô che, secondo quanto riferisce Le Figaro, ha confermato davanti ai giudici come l’uomo fosse un “violento”, avesse un comportamento da “predatore”, e considerasse “le donne francesi come delle puttane”.
L’uomo, secondo una perizia degli esperti, inoltre, sarebbe permeato della “cultura maschilista del suo Paese d’origine, dove le donne sono relegate allo stato di oggetti sessuali”. Si fa fatica a definirla “cultura”. Eppure, secondo i giudici, sarebbe stata proprio questa “attitudine culturale” a risparmiargli le manette. Perché si possa parlare di stupro, infatti, il Codice penale francese impone che si verifichino “violenza, costrizione e minaccia”, mentre l’adolescente, per la corte, si sarebbe sì rifiutata a parole ma, in stato confusionale, non avrebbe avuto la forza di opporsi all’atto in sé. Per questo l’uomo non avrebbe avuto la percezione del rifiuto e quindi parlare di violenza, a parere delle toghe, non sarebbe corretto.
In Francia come in Italia, quindi, in molti si chiedono se sia possibile, in nome dell’accoglienza e del multiculturalismo, ammettere l’esistenza di una “cultura” che permette agli uomini di violentare le donne. E se, soprattutto, se siamo disposti a prenderla per buona questa cultura, e a considerarla una “circostanza attenuante” in omaggio al politicamente corretto. Un assordante silenzio sulla vicenda arriva dalle femministe. Tutte si sono astenute dal commentare, forse impegnate a trovare una quadra nel cortocircuito tra la difesa a tutti i costi dei diritti dei rifugiati e quella dei diritti delle donne.
Un cortocircuito, quello della giustizia francese, che spesso si verifica anche da questo lato delle Alpi. È il caso, come sottolinea Italia Oggi, delle tante tragedie frutto di denunce ripetute e puntualmente ignorate. Di un’attitudine a lavarsi le mani che ha provocato tante vittime innocenti, come Marco Zani, il bimbo arso vivo nell’incendio appiccato da suo padre a Sabbioneta, nel mantovano, per vendetta nei confronti della moglie.