Corriere della Sera, 29 novembre 2018
I progressi inattesi dell’Europa dell’Est
Statistica e racconto mediatico della realtà spesso confliggono. L’Indice della Prosperità pubblicato ieri dal Legatum Institute, ad esempio, racconta cose che normalmente non si direbbero. La prima a stupire è la posizione del Regno Unito, che nel 2016 e nel 2017 era alla posizione numero dieci della classifica dei Paesi più prosperi e nel 2018 è balzata al posto numero sette. Nonostante il referendum sulla Brexit del 2016 e il pasticcio fatto dal governo di Londra nelle trattative con Bruxelles per sciogliere il matrimonio, nel suo complesso il Paese non sembra avere sofferto: tra i grandi Paesi è quello al mondo che si posiziona meglio. Forse, senza la Brexit sarebbe in una posizione ancora migliore. Fatto sta che la catastrofe che era stata prevista da numerosi esperti non si è verificata. Può darsi che si creino problemi seri dopo il 29 marzo 2019, data in cui l’abbandono sarà effettivo: ma l’esperienza del biennio passato consiglia prudenza. Il Legatum Prosperity Index cerca di misurare ricchezza e benessere di 146 Paesi individuando nove pilastri di prosperità, a loro volta divisi in numerosi sottogruppi. I pilastri sono: qualità economica (in sostanza le basi strutturali dell’economia), ambiente di business, la governance (democrazia e rispetto della legge), libertà personale, capitale sociale (network sociali e civismo), sicurezza, istruzione, salute, ambiente naturale. Alla posizione numero uno c’è la Norvegia, seguita da Nuova Zelanda e Finlandia. Il primo dei grandi Paesi è appunto il Regno Unito al posto numero sette, la Germania è in posizione 14, dalla 11 a cui era nel 2017, gli Stati Uniti passano dal posto 18 al 17, la Francia scende dal 19 al 20, la Spagna cade dal 20 al 25 e l’Italia va giù dalla posizione 30 alla 34. Al di là della classifica, l’Indice elaborato dall’istituto londinese misura altre tendenze non scontate. Tra il 2013 e il 2018, 113 Paesi hanno migliorato il loro indice di prosperità, 95 tra l’anno scorso e questo. Interessante e di solito poco raccontata la performance dell’Europa dell’Est, che negli scorsi cinque anni ha migliorato il suo Indice complessivo e ha fatto passi avanti negli ambienti di business e naturale e nella libertà personale, rimanendo la terza regione del mondo per qualità dell’istruzione. È un invito a non dare niente per scontato.