il Fatto Quotidiano, 29 novembre 2018
Un peto in faccia a Rossellini
Una scorreggia di contestazione, esplosa in faccia al padre del Neorealismo. È il clamoroso Sessantotto di Carlo Verdone, quello che il futuro attore e regista trascorse da studente del primo anno al Centro Sperimentale di Cinematografia. Lo rievoca egli stesso nel documentario diretto da Giovanna Ventura Il gusto della libertà – Cinema e ’68, in cartellone al 36° Torino Film Festival e in programmazione questa sera su Rai Movie, che produce.
“Già il primo giorno al CSC – ricorda Verdone – fu un dramma: eravamo 32 registi, avevano eliminato gli attori, gli scenografi, tutto. Rimaneva solo il regista, la figura dominante nella nuova visione del cinema di Roberto Rossellini”, che era appena stato nominato commissario straordinario. Ovviamente, la politica la faceva da padrone: “Chi di Potere operaio, chi di Avanguardia operaia, chi del Partito comunista, chi di Autonomia operaia, chi del manifesto: mi chiesero, e tu che vuoi fare? Andai a destra, ovvero presi posto tra i comunisti”. Incominciarono le lezioni, “ma non portarono a niente: Rossellini c’aveva davanti 31 persone che volevano parlare di cinema politico, mentre lui dissertava di obiettivi, Panavision, eccetera”.
Tra gli studenti iniziò a farsi strada il malumore, di più, la ribellione: “‘Presidente reazionario’, lo bollavano”. Quando entrò in classe, “a un certo punto uno si alzò, si girò e fece un atto di follia, un peto in faccia a Rossellini”. Verdone ancora oggi non se ne capacita: “Che quello che aveva creato il Neorealismo ricevesse un peto in faccia da uno studente mi ha fatto davvero vergognare, buttai la faccia sul banco, e con me anche quelli di Autonomia operaia. L’aveva fatta troppo grossa, quel ragazzo”. La reazione di Rossellini si fece attendere: “Non si scompose, rimase in silenzio, finì di fumare una Chesterfield senza filtro. Poi guardò tutti, e ci disse: ‘La lezione è finita, non credo ci rivedremo’”.
È l’aneddoto clou del documentario, che inquadra il Sessantotto nella sua evenienza cinematografica, incrociando prezioso, raro se non inedito, materiale d’archivio a illustri talking heads, da Marco Bellocchio al critico francese Serge Toubiana, da Olivier Assayas a Paolo Flores d’Arcais. Da Cannes a Venezia, passando per Parigi, la contestazione arrivò a bruciare lo schermo, giacché “con la macchina da presa c’era chi volesse farci la guerra, Wenders lo mise persino in un film. Ma il cinema – rileva Bellocchio – non fu un alfiere del ’68, vi andò dietro, al più procedette in parallelo”. I cineasti protagonisti furono lui, Roberto Faenza, Silvano Agosti, Pier Paolo Pasolini e Bernardo Bertolucci, che ritroviamo ai Mercati Traianei sul set di Partner, nato nella convinzione che “un intellettuale europeo in questo momento è impotente a condurre una lotta rivoluzionaria”. Eppure, Bertolucci la stava mettendo in campo, anzi, nei nostri orecchi: Partner era in presa diretta, rifiutava il doppiaggio, “perché ha ragione Godard quando dice che ‘in Italia non conoscete il cinema parlato, ma solo quello doppiato’”.
Scorrono i volti, Truffaut e Lelouch che terminano anzitempo la ventunesima edizione di Cannes, in solidarietà alle lotte operaie e studentesche, la giurata Monica Vitti che “deve tenere conto della realtà”, il visionario Marco Ferreri che a Venezia era già oltre la contestazione stessa. Poi quel peto inverecondo, e per finire Paul McCartney che si scaccola sulle note di Happiness runs di Donovan.