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 2018  novembre 29 Giovedì calendario

Volete sapere come la Svezia ha impedito il clientelismo politico? Nel bel libro di Piero Angela (90 anni) c’è anche questo, e molto altro

C’è anche la politica nel bel libro autobiografico di Piero Angela, classe 1928, da decenni un vero principe della divulgazione scientifica in tv. I ricordi personali di una lunghissima carriera televisiva, ricchi di episodi divertenti raccontati con stile leggero, conditi sovente da ironia sabauda (Angela è torinese), sono costellati qua e là da riflessioni sui pregi (pochi) e sui difetti (troppi) della situazione italiana di oggi. Un mix molto ben riuscito, con capitoli brevi e mai banali, che rende gradevole la lettura delle 226 pagine di Il mio lungo viaggio: 90 anni di storie vissute (Mondadori), e nello stesso tempo induce a riflettere su temi di stretta attualità.Tra questi ultimi, c’è solo l’imbarazzo della scelta. Per esempio, quando era corrispondente da Bruxelles per la Rai, Angela si recava spesso in Svezia, che faceva parte della sua area di competenza. «Ogni volta ne tornavo alquanto stupito, perché era veramente un viaggio nella fantascienza scoprire come funzionavano lì le prigioni, il sistema fiscale e quello giudiziario». Ma a colpirlo fu soprattutto la scoperta di come gli svedesi fossero riusciti a sconfiggere il clientelismo politico in modo radicale, con i fatti e non solo a parole.
«In Italia, lo sappiamo, il potere politico è penetrato un po’ dappertutto, anche là dove non dovrebbe, come ad esempio nella pubblica amministrazione», scrive Angela. «In Svezia si erano posti da tempo questo problema, cioè evitare come i funzionari pubblici, che dovrebbero essere indipendenti dal potere politico, siano legati a partiti o uomini politici anziché essere al servizio esclusivo dei cittadini. È una forma di corruzione che degrada il loro impegno di terzietà, trasformandoli da servitori dello Stato in servitori di altri interessi. Un problema che in Italia conosciamo fin troppo bene».
Qual è la soluzione pensata e attuata in Svezia? «Il problema è stato risolto in modo molto semplice e drastico: tagliando (anche fisicamente) il rapporto tra i ministri e i rispettivi ministeri. Ecco quello che scoprii in Svezia», scrive Angela. «Innanzitutto, i ministri, con i loro uffici politici, non risiedevano nei ministeri, ma erano tutti raggruppati nello stesso palazzo. Una volta definiti gli obiettivi politici e i finanziamenti, il ministro non poteva mettere becco nell’attività del ministero, che metteva in pratica le direttive. E tantomeno poteva intervenire su nomine o carriere». Dunque, una realtà lontana anni luce da quella romana, dove i ministri e le loro squadre di fedelissimi, subito dopo la formazione di ogni governo, occupano quasi militarmente i palazzi dei ministeri, scacciano la squadra del predecessore, nominano e promuovono i funzionari e i dirigenti più fedeli alla loro fazione politica, con i pessimi risultati ben noti a tutti da decenni: burocrazia inefficiente, pratiche portate avanti in base all’amicizia politica anziché allo spirito di servizio verso il proprio paese, metodi mafiosi dilaganti, spese fuori controllo, debito pubblico alle stelle.
Ovviamente, il rischio del metodo svedese era di lasciare troppo potere in mano alla burocrazia. Per evitarlo, scrive Angela, «esisteva un sistema di controllo esercitato da due ombudsman: uno si occupava degli affari civili, l’altro delle questioni militari. Gli ombudsman erano alti magistrati eletti dai due rami del parlamento, i quali, a seguito di denuncia (ma anche di propria iniziativa), potevano ordinare inchieste, mobilitando le forze di polizia. Era un sistema diretto a difendere i cittadini da eventuali abusi, e al tempo stesso controllare l’indipendenza e la correttezza della pubblica amministrazione».
In Svezia, poi, Angela scoprì che c’era l’obbligo di rendere noti tutti i documenti pubblici, tranne poche eccezioni: «Persino la posta dei ministri doveva essere disponibile. Ricordo che, insieme a un giornalista svedese, mi recai nell’ufficio del ministro delle Poste: il ministro non c’era, e il giornalista chiese alla segretaria di vedere la sua corrispondenza. La segretaria gliela consegnò».
Dopo il suo rientro in Italia, ripensando agli ombudsman svedesi, Angela ne parlò con alcuni personaggi che allora erano di alto profilo istituzionale, come l’ex presidente della Consulta, Aldo Sandulli, l’ex presidente del Senato, Cesare Merzagora, e il presidente dell’Accademia dei Lincei Edoardo Amaldi. Tutti si dissero favorevoli al progetto di introdurre in Italia un sistema analogo, impegnandosi a fare da garanti. Tuttavia, tra un impegno e l’altro, non si trovò mai il tempo giusto per lanciare la proposta, che finì nel nulla. E Angela confessa di «conservare ancora un senso di colpa».
Il breve ritratto dell’Italia di oggi che Angela fa nel capitolo «Politica e informazione» è desolante quanto vero: «È incredibile come una società che vuole essere moderna e competitiva abbia invece una ricerca umiliata, un’educazione che nei test internazionali risulta nelle posizioni di coda, un merito negato, un’assenza disperante di cultura scientifica, valori calpestati, una giustizia lentissima, una mancanza di attrattività per gli investimenti dall’estero, una pubblica amministrazione che ostacola anziché aiutare lo sviluppo, una corruzione diffusa, università considerate tra le ultime nelle classifiche internazionali...».
Più avanti: «Un paese che ha questi problemi e non li pone in primissimo piano per risolverli, sarà molto limitato nella produzione della ricchezza. E di conseguenza anche nella sua distribuzione, sotto ogni forma». Purtroppo, conclude Angela, invece di occuparsi di questi problemi, «la politica continua a fare debiti, che significa vivere al di sopra dei propri mezzi». Un disastro riassunto così: «Ho fatto un conto: se si mettono in fila le banconote da 100 euro, sapete quanto lungo diventa questo nastro? Cinque volte la distanza dalla Terra alla luna». Purtroppo, il governo pentaleghista sta facendo di tutto per allungarlo ancora un po’.