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 2018  novembre 29 Giovedì calendario

Shingo Kunieda, il tennista in carrozzella che ha vinto più di Federer

Ha vinto più di Roger Federer ma non gli basta. Vuole giocare ancora, la sua stagione non è finita. Shingo Kunieda, 34 anni, da ieri è impegnato ai Masters di tennis in carrozzina di Orlando, il torneo tra i migliori otto giocatori al mondo. Il giapponese numero uno del ranking, in carriera ha conquistato 42 titoli del Grande Slam, 22 in singolo ( 9 Australian Open, 7 Roland Garros, 6 Us Open) e 20 in doppio. Non è il suo unico record: dal 2007 al 2018 ha giocato 106 partite e non ne ha persa nemmeno una. Il tennis per lui è stato una ricompensa. Da bambino, Kunieda amava gli sport di squadra, giocava a basket, era veloce, agile e potente. Ha dovuto smettere per un tumore alla spina dorsale. Della sua infanzia non ha quasi più memoria, si ricorda soltanto che una mattina, dopo l’ennesimo intervento chirurgico, si è svegliato e non sentiva più le gambe. Non sarebbe mai più riuscito a muoverle. A undici anni si è aggrappato allo sport per trovare un posto nel mondo. Da allora non ha mai smesso di allenarsi; su un taccuino annota ogni giorno, ancora oggi, quante palline riesce a mandare dall’altra parte della rete. Il suo maestro Hiromichi Maruyama sostiene che siano necessari 30mila colpi per prendere confidenza con la racchetta, per sentirla parte del proprio corpo. E poi servono ostinazione, maniacalità, resistenza alla noia e al sudore. All’inizio non è stato facile per niente: il rovescio a una mano gli sembrava un movimento innaturale, non riusciva a metabolizzarlo. «Proviamoci ancora», gli ripeteva il maestro. È stato il colpo con cui ha vinto per la prima volta alle Paralimpiadi. In campo Kunieda urla, si dispera, piange e si commuove ogni volta che vince una partita. Succede spesso. Da sempre, nei momenti di difficoltà, ripete a sé stesso un mantra: «Sono invincibile, sono il numero uno». Invincibile ma umano. Proprio come è successo a Federer, anche il giapponese è stato costretto a fare i conti con l’anagrafe e il corpo che invecchia. Dopo più di vent’anni di tennis e solo tennis, gli è capitato più volte di pensare al ritiro: ha cominciato a sentire la fatica e il dolore, il suo fisico ha iniziato a ribellarsi. Le gambe non potevano fargli male, il gomito sì, non riusciva più a stringere la racchetta tra le mani. Kunieda però voleva ancora giocare, sentirsi il migliore. Non era pronto ad abbandonare il campo. Si è fatto operare due volte, nel 2012 e nel 2016, per provare a vincere la sua terza medaglia d’oro alle Paralimpiadi, dopo quelle conquistate ad Atene 2004 e Pechino 2008. Ci proverà ancora a Tokyo, la città in cui è nato, tra due anni. Forse sarà la sua ultima volta. Anche in questo ricorda il tennista svizzero, che si è dato come ultimo traguardo l’Olimpiade giapponese. Ma il 2020 è lontano, Kunieda adesso pensa al Masters: in Florida affronterà Gustavo Fernandez, Joachim Gerard, Stephane Houdet, Stefan Olsson, Nicolas Peifer, Gordon Reid e Takashi Sanada per provare a vincere per la terza volta l’ultimo torneo della stagione. A chi gli chiede se è grato al tennis per avere avuto la possibilità di ricominciare a giocare, lui risponde: «In realtà, sono grato soprattutto di essere ancora vivo».