la Repubblica, 29 novembre 2018
Le 600 microzone dei disoccupati italiani
ROMA La scommessa è trovare 5 milioni e 400 mila offerte di lavoro “congrue” da proporre ai capifamiglia di un milione e 800 mila nuclei familiari che vivono in povertà assoluta: tre a testa. E che da aprile riceveranno il reddito di cittadinanza: un assegno da 780 euro in su, revocato se rifiutano quelle offerte. Il ministro del lavoro Luigi Di Maio ci crede, anche perché è su questo punto che deve rispondere all’alleato di governo e all’Europa che reputano la misura assistenziale e non in grado di rilanciare la crescita. In questi giorni, il suo consulente americano Mimmo Parisi è volato dal Mississippi a Roma per aggiornarlo sui progressi del software che sta preparando per l’Italia. Con una novità sostanziale: il ricorso a una nuova geografia dell’offerta “congrua”. Non più – come recitano le norme in vigore – a seconda della durata della disoccupazione: entro 50 chilometri da casa se non lavori da meno di sei mesi, entro 80 chilometri se oltre i sei mesi. Ma in base alla suddivisione Istat dell’Italia in 611 “sistemi locali del lavoro”. Porzioni di territorio omogenee sotto il profilo della domanda e offerta: qui la maggior parte dei residenti vive e lavora. Non è un dettaglio secondario. Perché la suddivisione Istat – una fotografia aggiornata al censimento del 2011, ricavata dai dati sul pendolarismo – che non coincide con quella amministrativa, rischia di complicare il compito di incrociare domanda e offerta di lavoro. Se si escludono le aree attorno alle grandi città – come Roma, Milano, Napoli, Torino – di dimensioni ampie perché fungono da catalizzatrici di occupazione dall’hinterland, le altre sono molto piccole, soprattutto al Sud. Quasi parcellizzate. Tradotto: il reddito di cittadinanza sarà legato a offerte di lavoro quasi sotto casa. In numero di tre a famiglia. E tra l’altro “congrue”. Ma quand’è che un’offerta di lavoro è “congrua”? A una prima definizione inserita nella riforma Fornero nel 2012, se n’è sostituita un’altra nel Jobs Act di Renzi del 2015, poi dettagliata da un decreto ministeriale del governo Gentiloni arrivato il 10 aprile scorso. L’offerta è congrua se è coerente con le esperienze e le competenze maturate, secondo una gradualità: i disoccupati da più di un anno devono accettare anche lavori in settori poco familiari. L’offerta è poi congrua se non inferiore a tre mesi di durata, a tempo pieno o mai sotto l’80% delle ore nell’ultimo contratto, retribuita almeno secondo i minimi salariali dei contratti collettivi. E distante al massimo tra 50 e 80 chilometri da casa. O in alternativa tra 80 e 100 minuti con i mezzi pubblici (56-70 minuti di macchina). I tecnici di Di Maio vogliono ora sostituire questi requisiti di spazio-tempo con i “sistemi locali del lavoro”. Complicando il quadro. Sembra davvero difficile individuare così tanti posti qualificati, retribuiti il giusto e tutti nei dintorni, in una fase di rallentamento dell’economia. Già oggi i centri dell’impiego faticano a stilare il “patto di servizio personalizzato": riqualificare il disoccupato e sanzionarlo – fino alla revoca dei sussidi – se non si presenta agli appuntamenti, salta i laboratori e la formazione o rifiuta l’offerta congrua. E solo il 3% di chi cerca un posto lo trova così. Molti centri stentano a gestire le pratiche, hanno computer obsoleti e non collegati alle banche dati, il personale è scarso (circa 8 mila per 3 milioni di disoccupati). Il governo ha stanziato due miliardi in due anni per la loro riforma. I risultati non saranno immediati. Al contrario, i problemi sono tutti sul tavolo. L’Alleanza per la povertà, promotrice del Rei – il reddito di inclusione attivo da un anno – avvista il rischio che il reddito di cittadinanza si concentri solo sulle politiche attive. Quando è dimostrato che l’80% dei poveri assoluti non è in grado di lavorare: mamme single, alcolisti, tossicodipendenti, malati, bassa scolarizzazione. Qui, più che offerte congrue, occorrono assistenti sociali. Ecco perché la stessa Alleanza chiede di partire dall’esperienza del Rei, che prevede già percorsi ad hoc. Nonostante gli inciampi locali e la carenza di personale preparato nei Comuni, come dimostra la protesta di alcuni municipi di Roma in questi giorni. Ecco dunque il dilemma politico: come distribuire i soldi a chi ne ha davvero bisogno per rimettersi in piedi, distinguendo tra assistenza e riattivazione? Come evitare i furbetti del reddito, che intascano la card e poi lavorano in nero? E come fare tutto questo, da aprile, sapendo che la spesa da 9 miliardi stanziata va ridotta per rientrare nei parametri europei? La risposta non è in un software americano.