La Stampa, 29 novembre 2018
L’allevamento degli animali che distrugge i fiumi
L’equazione è semplice: per avere tanta carne, tanto latte, tanti salumi, tanti formaggi a prezzi bassi, bisogna forzare la natura. Costringendo gli animali a convivere in centinaia dentro capannoni di cemento. Immobili. L’unico modo per farli crescere e prendere peso in queste condizioni è alimentarli in modo forzato con mangimi supernutrienti. L’unico modo per farli stare insieme senza che si ammalino e muoiano è farcirli di medicinali, a cominciare da antimicrobici e antibiotici. Questa è la ricetta che ha reso vincente in tutto il pianeta l’allevamento intensivo industriale.
Una tecnica che ha reso possibile incredibili record produttivi, l’abbassamento dei costi dei prodotti, e la diffusione su tutte le tavole di carne e prodotti lattiero-caseari. Peccato che questo sistema sia insostenibile, e che la natura si vendichi a sua volta degli abusi che commettiamo su di essa. Il sistema produce milioni di tonnellate di letame, di nutrienti, di pesticidi e fertilizzanti sintetici, di letali cocktails di medicinali veterinari. Che ritroviamo sui terreni e nelle acque, e che finiscono inesorabilmente nel nostro organismo. O in quello dei batteri che ci fanno ammalare, che diventano sempre più agguerriti e resistenti ai medicinali per umani.
Non sono ipotesi, ma fatti riconosciuti dalla scienza ormai da molti anni. E confermati da un rapporto sul «costo nascosto della carne» elaborato da Greenpeace, che presentiamo in anteprima. Che dimostra – dopo una rilevazione effettuata in ventinove fiumi e canali irrigui di 10 paesi europei, dall’Austria alla Polonia all’Italia – la fortissima presenza di pesticidi e antibiotici nei corsi d’acqua superficiali che scorrono in aree ad elevata presenza di allevamenti intensivi.
Si tratta ovviamente di campionamenti, peraltro esaminati nel laboratorio britannico di Greenpeace. Fatto sta che sono stati trovati antibiotici in oltre due terzi dei campioni analizzati; nitrati, in livelli superiori alla soglia considerata sicura per gli organismi acquatici più vulnerabili (anche se al di sotto dei limiti Ue) in metà dei campioni. In tutti i campioni sono stati trovati residui di pesticidi: 104 in totale, di cui 28 ormai vietati in Ue.
E l’Italia? Nel nostro paese sono stati effettuati tre campionamenti (una roggia e due canali irrigui) nelle tre province lombarde – Cremona, Mantova e Brescia – dove si concentra la fetta largamente maggioritaria della popolazione nazionale di suini. In particolare nel campione raccolto nella Roggia Savarona in provincia di Brescia sono stati trovati 11 diversi tipi di farmaci, 7 dei quali antibiotici: il numero più alto trovato in un singolo campione di tutta l’indagine. In ciascun campione italiano sono stati rilevati da 17 a 23 pesticidi.
«La produzione intensiva di carne e prodotti lattiero-caseari, insieme al relativo fabbisogno di mangimi – spiega Federica Ferrario, responsabile campagna Agricoltura di Greenpeace Italia – rappresentano una minaccia per l’ambiente e per la nostra salute. L’uso eccessivo di antibiotici negli allevamenti intensivi mette a rischio l’efficacia di farmaci vitali. I liquami originati da questi impianti inquinano l’acqua e l’aria, e costituiscono una fonte di rischio per la fauna selvatica e la salute umana».
Nel mirino degli ambientalisti c’è la Politica agricola comunitaria, che com’è costruita di fatto incentiva le aziende agricole che utilizzano metodi industriali e (che piaccia o no) sempre più insostenibili. «È ora che l’Unione europea e gli Stati membri, Italia compresa, si impegnino piuttosto a incentivare le aziende agricole che producono con metodi ecologici allo scopo di tutelare salute pubblica, ambiente, e agricoltura», dice Ferrario.
E dire che in Italia pian piano un allevamento «dolce» si sta diffondendo. Con animali che vivono meglio, più sani, e che non danneggiano la nostra salute e quella del territorio. I consumatori, i politici, lo sanno?