La Stampa (dal libro "Joe Lansdale. In fondo è una palude" di Seba Pezzani ), 28 novembre 2018
Come scrive Joe R. Lansdale
Il più bel regalo della mia vita me lo fece mia madre: una macchina per scrivere. Ero al settimo cielo. Avevo iniziato a scrivere da bambino, ma mia madre, negli anni dell’adolescenza, mi regalò una vecchia Underwood e, da quel momento, mi sentii uno scrittore a tutti gli effetti. Aveva dei tasti durissimi e, per questo, non la usai tanto, ma fu importantissima perché, in seguito, avrei usato altre macchine per scrivere, manuali ed elettriche, per poi passare al computer. Quella macchina per scrivere significò tanto per me: ci scrissi soprattutto appunti e lettere, ma per me fu la consacrazione come scrittore, finché mia moglie non me ne regalò un’altra, a distanza di molti anni.
Infilai un foglio nella macchina e schiacciai un tasto… Mi sedetti e restai a guardarla per un po’. Poi, schiacciai un tasto dopo l’altro, a raffica, e infine smisi di percuotere i tasti a caso, iniziai a guardare ciò che stavo facendo e cominciai a comporre delle parole. Fu come una magia… Vendetti il mio primo scritto quando avevo ventun anni. Ho sempre pensato che, prima o poi, la scrittura sarebbe stata il mio lavoro e mi avrebbe consentito di sbarcare il lunario, ma il successo che ho ottenuto è tuttora uno shock per me.
La scoperta del talento
In tutta onestà – e spero di non sembrare sfacciato – è stato uno shock ancor più intenso scoprire di avere un talento superiore a quanto pensassi. Pensavo di poter aspirare a essere uno di quegli scrittori di genere che sfornano un romanzo dietro l’altro e la cui carriera, magari, registra un picco di popolarità, per poi tornare in una sorta di anonimato. Ma più leggevo e più scrivevo, più capivo che, forse, dentro di me c’era qualcosa di speciale, per lo meno qualcosa in più di quanto avessi pensato. Ciononostante, ancor oggi mia moglie Karen e io, pur essendo sempre stati convinti di potercela fare, siamo enormemente sorpresi di quanto al di là delle nostre aspettative siamo andati.
Quando scrivo non sono in grado di tenere alta l’attenzione per molto tempo e, a differenza di parecchi miei colleghi, non scrivo tanto. Preferisco lavorare per brevi periodi di tempo ed essere estremamente produttivo e soddisfatto del lavoro svolto in quei brevi lassi.
Il flusso creativo
Da questo punto di vista, siamo tutti diversi. Semplicemente, mi sono accorto che più a lungo scrivo e più si abbassa la qualità della mia scrittura. Pertanto, preferisco scrivere meno, ma essere contento di quello che faccio. Se mi rendo conto di essere in preda a un buon flusso creativo, lo lascio scorrere. Ma c’è un momento in cui, inevitabilmente, quel flusso si esaurisce e la qualità declina. Lì mi devo fermare.
Di regole assolute non ve ne sono e mi capita, saltuariamente, di scrivere per più ore di quanto sia abituato a fare, proprio perché la scrittura mi prende positivamente la mano. Ma, almeno nel novanta per cento dei casi, non succede. Lo stile è essenziale. Un bel libro deve avere una storia in grado di afferrarti e non mollarti più, spingendoti a voltare le pagine a ritmo forsennato per capire come andrà a finire. Ma quella storia non può essere granché se non è sostenuta da una prosa all’altezza. Adoro i romanzieri che hanno un loro stile, una loro voce affinata nel tempo. Detesto la sciatteria nella scrittura.
Vengo spesso definito lo Stephen King del Texas Orientale: King mi piace molto, ma, in effetti, si tratta di un paragone che mi sta stretto. Sono certo che allo stesso Stephen non piaccia sentirsi paragonato a me. È un accostamento che indica scarsa fantasia. Io sono quel che sono. Ammiro Stephen e la sua opera, ma vengo da tutt’altro posto. Ciò detto, abbiamo entrambi una voce da narratore.
Non sono uno scrittore solitario: amo la compagnia e considero il momento del contatto con il pubblico – seppur a scopo promozionale – una delle maggiori soddisfazioni della professione. Sono convinto che, se non incontri gente e non te ne vai un po’ in giro, la tua scrittura finirà per puzzare di biblioteca. Io sono un lettore vorace, adoro i libri e le biblioteche e non posso fare a meno di scrivere, però, se non fai altro che leggere e scrivere e non ti misuri con il mondo, la tua scrittura saprà di stantio e sarà priva della vivacità del mondo reale, qualunque cosa tu scriva. È fondamentale frequentare la gente per capire come parla, per familiarizzare con il ritmo del linguaggio, con il suo atteggiamento. Talvolta, persino per incazzarti per come la gente ragiona.
Alcune delle cose migliori che io abbia mai scritto sono proprio una reazione a quel modo di ragionare. Io cerco sempre di divertire i lettori, ma cerco anche di inserire qualche tematica su cui riflettere. Talvolta, si sfiorano questioni politiche, ma per lo più si tratta di argomenti sociali, filosofici o antropologici. Non lo faccio perché io sia convinto di saperne più del prossimo, bensì per esplorare certe tematiche secondo il mio sentire. Ai lettori piace. Ma più ne scrivi e meno ti rendi conto di saperne. Magari non ti serve un terapeuta, ma interloquire con qualcuno resta pur sempre una forma di terapia salutare. In questo caso, è come se interloquissi con me stesso, sviscerando comunque certe questioni importanti, tentando di capire come mai io abbia determinate vedute e non altre. È una cosa che ho sempre cercato di trasmettere ai miei figli.
Amo la musica, ma quando scrivo non ne ascolto perché finirebbe per distrarmi. Ma musicalità e ritmo sono un elemento imprescindibile della mia scrittura. Devo sentire le voci nella mia testa e la prosa deve avere una sua musicalità. La lingua deve trasformarsi in melodia. Ovviamente, non c’è una regola fissa, ma, quando la mia scrittura assume un certo ritmo nella mia testa, so di essere sulla strada giusta. Quello che scrivo deve trasmettere ai miei orecchi una certa cadenza. Quella cadenza sta nel modo in cui le persone parlano, nelle espressioni che utilizzano. E non si tratta sempre della stessa musica e dello stesso ritmo. Il la lo dà la storia che sto scrivendo in quel particolare momento. Le storie di Hap & Leonard, per esempio, mi pare che abbiano un ritmo particolare. Anche altre storie che ho scritto ce l’hanno. Insomma, se voglio scrivere qualcosa, prima devo sentire quella musica nella mia testa.