il Fatto Quotidiano, 28 novembre 2018
Il maxi-riciclaggio di Danske Bank, tra spie russe e morti sospette
In danese hygge indica tutto ciò che evoca l’atmosfera accogliente e piacevole di casa propria. Danske Bank, il maggior istituto di credito della Danimarca, ha applicato l’hygge sin troppo bene: dal 2007 al 2015 oltre 200 miliardi di euro sono transitati su 15mila conti intestati a cittadini stranieri nella sua succursale estone. L’esame indipendente di 9,5 milioni di transazioni realizzate su 6200 di questi conti, che ha analizzato 8 milioni di email e 12mila documenti e interrogato 70 tra dipendenti e manager, afferma che la grande maggioranza di queste operazioni siano legate al riciclaggio. Il maggior scandalo della storia bancaria europea potrebbe costare a Danske Bank multe sino a 7,1 miliardi di euro, ma la vicenda è già costata la vita a quattro cittadini russi. Molte delle operazioni appaiono legate ai piani alti del Cremlino, all’entourage del presidente Putin e ai servizi di sicurezza di Mosca. Un ramo di questo gigantesco fiume di denaro potrebbe essere transitato anche attraverso controllate estere dei gruppi Unicredit e Intesa SanPaolo (che però smentiscono).
Quotata al Nasdaq Omx, Danske Bank è da 145 anni il maggior istituto danese, con oltre 2,9 milioni di clienti. La sua rete è presente in altri 4 Paesi (Finlandia, Norvegia, Svezia e Irlanda del Nord) e in altri 11 l’istituto opera tramite banche corrispondenti. Ed è qui che entra in scena l’Italia: il sito web dell’istituto spiega che Banca Intesa Ad Beograd e Privredna Banka di Zagabria, controllate del gruppo Intesa Sanpaolo in Serbia e Croazia, sono tra le banche corrispondenti della banca di Copenaghen. Tra le proprie banche corrispondenti l’istituto danese segnala anche Zao Unicredit Bank, Unicredit Bank Serbia, Unicredit Bank Llc Kiev, Unicredit Bank Mostar e Zagrebaka Banka, controllate del gruppo Unicredit in Russia, Serbia, Ucraina, Bosnia e Croazia. Alcune di queste società erano possedute da Bank Austria, acquisita indirettamente nel giugno 2005 dal gigante italiano nell’ambito della fusione col gruppo tedesco Hvb e alla quale, sino a settembre 2016, hanno fatto capo tutte le attività del gruppo nell’Europa centrorientale. Il Fatto ha chiesto a Intesa Sanpaolo e Unicredit se i loro istituti controllati, come pure i due gruppi, siano stati coinvolti nelle indagini internazionali sulle operazioni della filiale estone di Danske Bank. Entrambe le banche hanno smentito rapporti con la filiale estone e l’esistenza di indagini in corso.
Il ruolo delle banche corrispondenti è centrale: la banca corrispondente è un istituto di credito incaricato da un’altra banca di offrire i suoi servizi a condizioni di reciprocità ai clienti in luoghi dove quest’ultima non possiede propri sportelli. In base alle regole antiriciclaggio, i controlli vanno applicati anche alle operazioni realizzate per conto di clienti di terzi sui conti di corrispondenza. Nelle scorse settimane, Deutsche Bank è finita sotto la lente per essere stata banca corrispondente di Danske Bank. Il gigante malato del sistema creditizio tedesco, la cui filiale di Londra è sotto inchiesta penale negli Usa e ha già pagato multe per oltre 530 milioni di euro alle autorità inglesi e statunitensi per il riciclaggio di 8,85 miliardi di clienti russi, ha gestito pagamenti in Estonia per conto della banca danese ma ha chiuso i rapporti nel 2015 dopo aver identificato attività sospette. La succursale nella Capitale estone Tallinn arrivò a Danske Bank nel 2007 con l’acquisto della finlandese Sampo Bank, cui faceva capo. Gran parte dei clienti acquisiti in quell’operazione erano russi e azeri e ucraini. La filiale estone aveva sistemi informatici propri e buona parte dei documenti sui clienti erano scritti in estone o in russo, il che rese difficili i controlli alla casa madre. Lo scandalo è emerso grazie alla testimonianza di un whistleblower, l’inglese Howard Wilkinson, capo del trading della filiale estone dal 2007 all’aprile 2014, 4 mesi dopo le sue segnalazioni di irregolarità al top management della banca, che tentò inutilmente di tenerlo buono offrendogli denaro in nero. Le falle nei controlli antiriciclaggio sui clienti esteri, i cui conti furono chiusi nel 2015, furono multate a luglio 2015 in Estonia e a marzo 2016 in Danimarca, ma su Danske Bank ora investigano le autorità finanziarie danesi, estoni, finlandesi, britanniche e statunitensi, mentre quelle francesi hanno già chiuso le proprie indagini. Indagano anche i magistrati danesi e il Dipartimento della Giustizia Usa, con cui Wilkinson collabora per chiarire il ruolo da banche corrispondenti di Bank of America, JP Morgan e Deutsche Bank. Un ramo del riciclaggio, chiamato “lavanderia azerbaijana”, passa per Londra: 2,57 miliardi di euro sono stati “lavati” da quattro Limited liability partnership (Llp), società anonime britanniche, attraverso Danske Bank.
Il presidente e l’ad di Danske Bank si sono dimessi. Ma la vicenda è costata la vita ad almeno 4 russi. Andrei Kozlov, primo vicepresidente della Banca centrale russa che nell’estate del 2006 era volato in Estonia per indagare su operazioni di riciclaggio, è stato ucciso da tre killer a 41 anni il 13 settembre 2006 a Mosca insieme al suo autista. Alexander Perepilichnyy, un imprenditore e whistleblower in affari con la banca estone, è morto in circostanze sospette nel Regno Unito il 10 novembre 2012. Sergei Magnitsky, un avvocato russo che investigava su un riciclaggio da 200 milioni di euro realizzato da Hermitage Capital Management, fondo citato nell’inchiesta indipendente su Danske Bank, è morto il 16 novembre 2009 in carcere a Mosca.