La Stampa, 28 novembre 2018
Truffe e due mogli: la vita raddoppiata del ladro di identità
Pirandello, ovviamente. Tanto più che la storia si svolge in Sicilia. Solo che i sei personaggi l’autore l’avevano già trovato, anzi lui li interpretava tutti. Aveva «rubato» l’identità a un anziano in casa di cura e se ne serviva per collezionare reati di gravità variabile ma non sanguinosi, diciamo dalla truffa in giù, compreso però, giusto per non farsi mancare nulla, anche la bigamia. Doppia vita, in una scatola cinese di identità diverse, una Matrioska di personalità, una nessuna e centomila.
E qui, ammettiamolo. Tecnicamente, è cronaca nera. Ma sono quei casi in cui diventa divertente (un po’ meno per i truffati, magari) e finisce per suscitare una certa simpatia per il delinquente, se non altro per la fantasia. Uno che per quindici anni è riuscito a vivere due vite contemporaneamente è a suo modo un genio, magari del male ma pur sempre genio. Al Gotha dell’ingegnosità pataccara nazionale, accanto a Totò che vende la fontana di Trevi va quindi ascritto un nuovo nome, quello di Giuseppe Di Silvestro, 55 anni da Ramacca, paesone di 10 mila abitanti in provincia di Catania, famoso in Sicilia per i suoi prelibati carciofi e la relativa sagra.
Alla fine, è stato beccato (purtroppo, verrebbe da dire) nel più banale dei modi, il più temuto dagli italiani: una cartella esattoriale. Quella che è arrivata alla sua vittima, quella cui aveva vampirizzato l’identità, un invalido civile appunto di Ramacca ricoverato da anni in casa di cura. L’invalido ha trasecolato quando gli è arrivata una raccomandata che gli chiedeva 4 mila euro di multe non pagate e di contributi non versati sui «suoi» salari come operaio edile. Muratore lui, impossibilitato perfino a camminare? Quando poi l’invalido ha fatto indagini in Municipio, ha scoperto di essersi anche sposato con un’ucraina. Marito a sua insaputa.
A questo punto sono entrati in scena i carabinieri. E hanno scoperto che in realtà di invalidi ce n’erano due: quello vero, nel suo ospizio a Ramacca, e quello falso, l’invece validissimo Di Silvestro, che da quindici anni aveva rubato l’identità all’altro. E se ne era servito per crearsi una esistenza parallela, fra Casale Monferrato, dove abita la sorella Anna, e Montefiore Conca, provincia di Rimini. Sotto falso nome, Di Silvestro ha affittato casa e ha lavorato, ovviamente senza dichiarare un euro di tasse. Rimasto disoccupato, è riuscito perfino a intascare il sussidio (ancora un po’, e sarebbe arrivato anche il reddito di cittadinanza). Nel frattempo, poiché al cuore non si comanda nemmeno quando si diventa un altro, si era innamorato della solita fatale ucraina, Valentina Yuriyvina Dyptan e, da vero gentiluomo, l’aveva pure sposata. Peccato che una moglie l’avesse già, in Sicilia, e corredata pure di un poker di figli.Insomma, Di Silvestro aveva un’identità duale. A ben pensarci, comodissima. Tutti abbiamo sempre sognato di essere doppi (i più megalomani, anche trini) con una personalità di riserva cui affidare tutte le inevitabili sgradevolezze della vita, tipo pagare le tasse, ascoltare i talk con Di Maio o portare a spasso il cane quando piove. Ma nella realtà arriva poi la Procura della Repubblica (nel caso, quella di Caltagirone) a rovinare la festa. I tre, cioè Di Silvestro, la sorella e la «moglie» che viene dall’Est sono stati arrestati per una panoplia di reati che vanno dal furto d’identità alla sostituzione di persona, dalla truffa alla bigamia. Peccato solo che non esista quello di furto di vite altrui.
Nella prosa inimitabile della Benemerita, ecco la malinconica fine della storia: «L’uomo è stato associato al carcere di Rimini, mentre le due donne sono state relegate agli arresti domiciliari». Andrà meglio la prossima volta. Provaci ancora, Zelig.