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 2018  novembre 28 Mercoledì calendario

La fabbrica dei diamanti lancia gioielli nello spazio

La fabbrica dei diamanti ha già iniziato a sfornare carati. Chi cerca la differenza con le pietre estratte dalla terra, semplicemente non la troverà. I gioielli artificiali, primatisti di durezza come quelli naturali, vengono già usati nell’industria (il 90% ha origine sintetica): taglio, levigatura, scalpelli delle trivelle petrolifere. Ma ora si insinuano lentamente anche in gioielleria (2-3% delle vendite), con gran scandalo dei puristi. E volano nello spazio, o si fanno strada nei motori delle auto, o in transistor ultraveloci per il mondo della microelettronica. «Sappiamo che il diamante è il materiale più duro del mondo», conferma Ugo Besi Vetrella, fisico responsabile del laboratorio diamanti dell’Enea di Frascati, vicino Roma. «Ma ha anche straordinarie proprietà termiche, elettriche e di trasparenza. Può resistere a temperature altissime. All’Enea progettiamo di usarlo come sensore delle radiazioni nei reattori a fusione nucleare». A 130-150 gradi, il silicio smette di funzionare. A 600 il vetro diventa molle. «Il diamante non ne risente nemmeno», spiega Vetrella. Un bel gioiello (beninteso, artificiale) potrà anche comparire all’occhiello dei camici bianchi, come dosimetro nei reparti di radioterapia. Di diamante è fatto un oblò della sonda Pioneer-Venus, grande come una moneta: nessun altro materiale avrebbe resistito alle pressioni e temperature del lancio, restando trasparente alle radiazioni infrarosse usate per le osservazioni scientifiche. All’epoca ( fine anni ‘70) produrre diamanti artificiali non era facile. La Nasa dovette aspettare che dalle miniere del Sudafrica spuntasse un prodigio da 13,5 carati per montare l’oblò e procedere al conto alla rovescia. Oggi non sarebbe necessario attendere. «I nostri macchinari costano un centinaio di migliaio di euro, ma riescono a produrre diamanti di purezza elevatissima», spiega Vetrella. In una sorta di” forno a microonde” grande come una vecchia Cinquecento, si iniettano idrogeno e metano, le fonti di carbonio. Gli elementi, al di sopra dei 1.500 gradi, si ionizzano e il carbonio inizia a depositarsi su un “seme": un minuscolo diamante usato come substrato di crescita. «Mettere a punto le dosi esatte in realtà non è semplice. Noi dopo un anno di lavoro non siamo ancora alla formula perfetta», racconta il ricercatore. Il principesco diamante e l’umile grafite, in fondo, sono fatti con lo stesso elemento: il carbonio, uno dei più diffusi della Terra. L’unica differenza è la disposizione e il tipo di legame degli atomi. Ma se anche l’uomo sta imparando a riprodurre i segreti della natura, presto i diamanti potrebbero diventare prodotti artificiali, identici, illimitati, indistinguibili da quelli naturali, che invece vengono generati dalla Terra ( ma anche su altri pianeti, dove addirittura i diamanti possono piovere dal cielo) ad almeno 160 chilometri di profondità, in milioni di anni e poi riportati in superficie dalle eruzioni (e dal lavoro, a volte macchiato di sangue, dell’uomo).
Per scoprire l’origine, l’unico modo è usare uno spettroscopio a fotoluminescenza o un microscopio a fluorescenza: strumenti capaci di sondare la materia a livello del singolo atomo. Oppure, se ci si trova in gioielleria, si può consultare il cartellino del prezzo. Pur essendo identici, infatti, i diamanti artificiali costano fino a nove decimi in meno. Da quest’estate anche la De Beers – la storica ditta fondata nel 1988 in Sudafrica – ha iniziato a vendere diamanti industriali. Prezzo: 800 euro per un carato. Tempo di fabbricazione: 2- 3 settimane. E il mercato, da qui al 2030, è previsto in crescita fino al 10%. E dire che nel 1955, quando per prima la General Electric ( il processo richiede quantità enormi di elettricità) annunciò di aver creato il primo diamante artificiale con un’enorme pressa idraulica, generando pressioni e temperature pari alle profondità della Terra, le sue azioni guadagnarono 300 milioni di dollari in un giorno, mentre quelle della De Beers crollarono. Oggi per convincere gli atomi di carbonio a disporsi secondo un reticolo cristallino a tetraedro, si usano ancora ( è un metodo alternativo al” forno a microonde) presse pesanti un centinaio di tonnellate. All’interno si raggiungono 1.600 gradi e 5-6 GigaPascal di pressione (l’equivalente di un aereo di linea in equilibrio su un dito). Il metodo viene usato anche per colorare pietre uscite dalle viscere della Terra con tonalità scialbe.
Di fidanzarsi con un diamante artificiale, in realtà, perfino i giovani danarosi ma non troppo sembrano avere voglia. Il 68% dei consumatori americani, secondo un sondaggio ripreso dalla Diamond Producers Associations ( Dpa), ritiene che un diamante sintetico non sia” un diamante reale”. Per questo la Dpa nel 2019 spenderà 60 milioni di euro per propagandare lo slogan “Real is rare": il diamante reale è raro. Alla campagna, paradossalmente, parteciperà anche la De Beers. Timorosa, apparentemente, che un diamante non sia più “per sempre”.