la Repubblica, 28 novembre 2018
Il comunista Jack Ma e i cento uomini che hanno fatto grande la Cina
C’è il colosso dei canestri Yao Ming, il primo cinese a sfondare nell’Nba. L’astronauta Jing Haipeng, che con la bandiera rosso comunista sul casco ha fatto ben tre voli spaziali. E imprenditori come Pony Ma di Tencent e Robin Li di Baidu, risposte mandarine a Facebook e Google. Ma nel Pantheon delle cento glorie cinesi, scelte dalla leadership per celebrare il 40esimo anniversario delle riforme e pubblicate lunedì dal suo megafono, il Quotidiano del Popolo, c’è soprattutto tanto, tantissimo Partito comunista.
Accanto ai nomi di cui sopra infatti, da far invidia a tutto il mondo, nella lista figurano due dozzine di semi sconosciuti funzionari, celebrati come benemeriti per aver messo in atto questa o quella riforma agraria, sviluppato questa o quell’industria pesante, aver difeso questo o quello spicchio di territorio conteso con i Paesi vicini. E come se non bastasse, a guidare l’armata rossa c’è il comunista che non ti aspetti: Jack Ma, il fondatore di Alibaba, l’imprenditore più ammirato del Paese di cui per la prima volta, dopo tanti mormorii, si conferma nero su bianco l’affiliazione al Partito.
Una indicazione molto chiara, se mai ci fossero stati dubbi, su dove stia oggi l’autorità in Cina. Perché nel cerimoniale dell’Impero nulla è casuale. E la galleria di numi nazionali messa insieme per l’occasione è calibrata con il bilancino. In questo momento per esempio le aziende private sentono i morsi di un’economia che frena: ecco allora ben 14 imprenditori, specie dell’hi-tech.
Tra cui uno dei pionieri, Liu Chuanzhi, che nel 1984 fondò la prima società di Pc cinese: Lenovo. Non c’è quasi nessun artista, sono tanti gli scienziaticome Tu Youyou, premiata con il Nobel per il suo farmaco contro la malaria. Ma il contingente di quadri o piccoli funzionari di Partito è il più numeroso, un quarto del totale. Alcuni scelti per il loro ruolo nel realizzare le prime riforme di mercato annunciate da Deng Xiaping. Gli altri, la maggioranza, perché simboli delle battaglie dell’attuale leader Xi Jinping. Al capitolo espansione territoriale c’è tale Wang Shumao, ex pescatore che ha addestrato una milizia civile a ricacciare indietro le barche vietnamite che osano entrare nel Mar Cinese Meridionale. Al capitolo “sinizzazione” delle minoranze ecco Qurban Niyaz, preside di una scuola elementare dello Xinjiang che ai bambini uiguri, etnia musulmana, insegna arti tradizionali cinesi come la calligrafia o l’opera di Pechino.
E poi c’è il compagno Ma, che proprio in occasione di questa canonizzazione viene confermato ufficialmente tra i membri del Partito. Finora l’imprenditore più famoso di Cina, l’unico ammirato in uguale misura a Occidente e Oriente, aveva sempre coltivato un’immagine di distanza rispetto alle gerarchie comuniste, nell’interesse proprio e della sua Alibaba. «La mia filosofia è essere innamorati del governo, ma senza sposarsi», diceva appena tre anni fa. Ma più che la spilla rossa che gli scopriamo appuntata sul cuore, ce l’hanno in milioni, è la decisione di rivelarla oggi che fa riflettere. Nel momento più difficile, in mezzo alla sfida con gli Usa, inserire perfino uno come Jack Ma nei ranghi è un avvertimento della leadership comunista, al mondo e ai cinesi. Qui non c’è gloria al di fuori del Partito.