Il Messaggero, 28 novembre 2018
Storia della famiglia Tredicine
Mitologica è diventata la profezia di Buzzi: «A Giordà se non t’arrestano diventi primo ministro!». E infatti lo arrestarono, Giordano Tredicine, il rampollo della famiglia passato dal vendere cocco ai Fori imperiali al vicino Campidoglio, ma coi galloni (e il potere) di presidente della Commissione Politiche Sociali, fucina di appalti che facevano gola al Mondo di Mezzo, e poi addirittura vicepresidente dell’Assemblea capitolina, a 33 anni, mister preferenze da 5mila schede e passa. «Quello viene dalla strada!», diceva Carminati. «Lui ricambia... è uno poco chiacchierato, nonostante faccia un milione di impicci...». Per Mafia Capitale si è beccato in appello 2 anni e 6 mesi, ma prima dell’arresto, con lui, l’onorevole che aveva scalato velocissimamente il Colle capitolino partito da consigliere d’opposizione al Tuscolano, la dynasty dei caldarrostari abruzzesi emigrati a Roma aveva toccato lo zenit delle ambizioni famigliari.
Erano partiti da Schiavi, 808 anime tra i monti a sud di Chieti, e avevano conquistato gli avamposti dello smercio a due passi dai monumenti che il mondo c’invidia, dal Colosseo a Trinità de’ Monti. Bravissimi a diversificare, i Tredicine. Non solo castagne. Una licenza alla volta, hanno conquistato Roma. Panini, bibite, souvenir, abbigliamento, cocomeri. Nel 2015, l’anno in cui è deflagrato lo scandalo del Mondo di Mezzo, alla Camera di Commercio risultavano iscritti 69 Tredicine. Sessantanove imprese e più d’uno, della famiglia, aveva guadagnato poltrone di primo piano nelle organizzazioni di categoria, da Confesercenti a Confcommercio.
IL CAPOSTIPITE
Fino a qualche tempo fa, a ottant’anni e passa, il capostipite Donato sedeva ancora al braciere di caldarroste all’angolo tra via Frattina e piazza di Spagna, cartoccio e pinze tra le mani. Era arrivato a Roma nel ’59, la mattina lavorava in un cantiere all’Eur, il pomeriggio vendeva le castagne a due passi da via del Corso. Negli anni ’80 ecco i figli. Mario, il più anziano, Elio, padre di Giordano, Alfiero, Dario, Emilia. Secondo la Co.Ge.Se., la cooperativa dell’Apvad, un sindacato degli ambulanti, erano arrivati a controllare fino a 300 postazioni in tutta Roma. Un tesoro, che prolifera e si gonfia grazie al semi-monopolio delle licenze comunali. Un tesoro reinvestito. Dalla bancarella ai bar. Come quello nella centralissima via della Vite dove qualche anno fa venne fuori che ai turisti venivano venduti i coni gelato a 16 euro l’uno.
Accanto agli affari, gli inghippi giudiziari. Sul finire degli anni 80 Mario finì in carcere con due fratelli, una sorella e due vigili. Condannati in primo grado per associazione a delinquere, ma assolti in appello. Giordano invece no: condanna sia in primo che in secondo grado nel maxi-processo di Mafia Capitale. «Farebbe il sindaco di Roma?», gli chiedevano prima della caduta. E lui, serio: «Se me lo chiedessero...». Era il culmine di una carriera politica tra il Pdl e Forza Italia. Nel gennaio 2015 provò a organizzare un mercatino natalizio davanti alla basilica di San Giovanni, postazione strategica, facendolo passare come festa cittadina del partito. Ma era già indagato e gli azzurri lo scaricarono in un battibaleno. Sembrava l’inizio della fine, forse addirittura per tutta la famiglia. Invece.