Corriere della Sera, 28 novembre 2018
Il film-testamento di Bertolucci
Il titolo, The Echo Chamber, letto all’indomani della sua scomparsa, assume un significato più profondo. È quello dell’ultimo film di Bernardo Bertolucci, la sceneggiatura a cui ha lavorato fino a poco tempo fa, insieme a Ludovica Rampoldi e Ilaria Bernardini, un testo pronto per diventare un film prodotto da Nicola Giuliano per Indigo Film. E poi destinato a essere distribuito da Medusa. Anche se pure Raicinema sarebbe felice di essere a bordo. Quel che conta per ora è che l’eco del suo ultimo progetto è vivo in tutti coloro che gli hanno voluto bene. A cominciare dai molti che ieri sono arrivati alla camera ardente nella sala della Protomoteca del Campidoglio per rendere omaggio al grande intellettuale scomparso nella sua casa romana lunedì mattina, in attesa di farlo, collettivamente, nella cerimonia di commemorazione che famiglia, amici e collaboratori stanno preparando per il prossimo 6 dicembre al Teatro Argentina.
L’ultima volta di Bertolucci dietro la cinepresa era stato per Io e te, nel 2012, e vivere il set, nonostante la carrozzina, fu una festa. «Il cinema è la mia vita. Potere ricominciare a girare per me è la più grande terapia, ha voluto dire ricominciare a vivere. Avevo nostalgia di tornare a fare quello che è il mio più grande è piacere, stare sul set», confessava felice. Lì lo spunto era stato il romanzo di Nicolò Ammaniti. Questa volta, alla base della nuova sceneggiatura una colonna in cronaca, come aveva anticipato a Vanity Fair. Lì, una cantina, rifugio dell’adolescente Lorenzo e della sorellastra Olivia. Qui una camera, quella del titolo. O forse tre. «Avevo parlato con Bernardo per telefono pochi mesi fa – ha raccontato ieri, intenerito, Paolo Taviani – e lui mi aveva detto che era desideroso di fare un nuovo film, da girare in tre stanze. “Ci deve essere la gioia”, mi aveva detto».
È arrivato, invece, il dolore della perdita improvvisa: le sue condizioni sono precipitate nel giro di pochi giorni. Prima la vita del regista scorreva, nella casa di Trastevere, poco distante da Regina Coeli, scandita dalla scrittura, gli incontri con amici, registi, attori, scrittori, le visioni appassionate di film e serie tv. Lucido e attivo, come conferma Nicola Giuliano, a cui il regista ha fatto in tempo a consegnare la stesura definitiva di The Echo Chamber. E proprio il film, involontario testamento artistico, diventa testimonianza della gioia citata da Paolo Taviani. «È l’ultimo ricordo di un maestro e di un artista che stava lavorando attivamente. Sempre generoso con tutti i colleghi che si rivolgevano a lui per consigli, scambi di opinioni. Un importante punto di riferimento per tutti. Come omaggio al suo carisma e a questa vitalità artistica questo film lo faremo – promette –. E quello sarà il momento di parlarne liberamente». Le due co-sceneggiatrici non aggiungono altro. Quello che dovevano dire Ludovica Rampoldi e Ilaria Bernardini lo hanno affidato a una foto, postata lunedì su Facebook con loro due e Bertolucci, sorridenti.
I tempi e le modalità, dunque, sono tutte da definire. E la regia? Prematuro. Nessuna autocandidatura. Al contrario, chi viene chiamato in causa si schermisce. Come Peppuccio Tornatore. «Io? Non credo di essere all’altezza di cogliere la sua specialità stilistica. Bertolucci aveva un tocco suo, era un cineasta dallo sguardo unico, singolare, la sua lezione è immensa. Poi era una persona straordinaria, molto generosa». Al punto, aggiunge Mario Martone, da distogliere l’attenzione da se stesso, dalle sue condizioni di salute.
Continua fino a sera l’addio in Campidoglio davanti alla salma di Bertolucci in abito scuro e scarpe da ginnastica. Tre generazioni di cineasti e attori (Cavani, Maselli, Storaro, Argento, Sandrelli, Calopresti, Moretti, Costanzo, Rohrwacher, Antinori) salutano la moglie Clare e l’assistente personale del regista Nathalie Baldascini. E venerdì un Bertolucci sarà in sala. È il Novecento nella versione restaurata dalla Cineteca di Bologna distribuito da Lucisano.