Corriere della Sera, 28 novembre 2018
Di Maio litiga col padre: e adesso che faccio?
ROMA La grande paura. Mai prima d’ora i vertici dei 5 Stelle avevano tremato fino a questo punto: «Tocca a Luigi – mormorano ai piani alti —, siamo fregati». Si studiano piani B e si dà un occhio alla pagina Facebook di Alessandro Di Battista. Quella che sembrava una vicenda marginale, una delle tante denunce delle Iene , sta assumendo le proporzioni di una valanga. Le facce tese dei peones del Transatlantico fanno eco a quella livida di Luigi Di Maio. Che arriva e subito sparisce. Ha appena finito di litigare furiosamente con il padre Antonio. Gli ha urlato tutta la sua rabbia: «Mi hai mentito. Mi avevi detto che era un caso isolato e invece sono quattro in nero. Mi hai fatto fare questa figura davanti a tutti. E ora come faccio?».
Domanda appropriata. Se la sta ponendo in queste ore anche Matteo Salvini, che ieri alla Camera apparentemente difendeva Di Maio: «Sono dinamiche che non conosco. Quando si tira in ballo per polemica politica la vita privata, secondo me si sbaglia». Il ragionamento, però, andava a finire in un’altra direzione: «Se ci sono stati errori, ognuno ne risponderà».
Ci sono stati errori? E chi li ha fatti? Solo Di Maio padre o anche il figlio? Domande che si stanno ponendo in molti nel Movimento. Perché troppe cose non tornano nelle ricostruzioni di questi giorni. E se è vero che le colpe dei padri non possono e non devono ricadere sui figli, è anche vero che molti figli sono caduti proprio per cercare di salvare i genitori.
La prima anomalia è la presenza di Luigi Di Maio nella società, la Ardima Srl. Ereditata dal padre gestore e dalla madre titolare, Paolina Esposito, nel 2012. E finita proprio al futuro vicepremier, titolare del 50 per cento delle quote, insieme alla sorella Rosalba. A gestire il tutto, il terzo fratello, Giuseppe. Un mosaico familiare decisamente ingarbugliato. Molti deputati non sapevano neppure che Di Maio fosse socio dell’azienda. Titolarità non dichiarata nei curricula ufficiali. «Molti di noi – ragiona un parlamentare al secondo mandato – hanno mollato società e lavori per evitare conflitti d’interesse. Lui non ci lavorava, d’accordo, ma forse avrebbe fatto meglio a sbarazzarsene per tempo». Anche perché Di Maio non è un parlamentare qualunque: è il ministro del Lavoro. Da lui dipende, per esempio, l’Ispettorato del Lavoro, che potrebbe dover intervenire sull’azienda di sua proprietà. Conflitto d’interesse potenziale. In capo al leader del Movimento che combatte da anni lancia in resta contro i conflitti d’interesse.
Ma non è l’unico dubbio. Il sospetto più pesante che sorge a un certo punto è che Di Maio abbia lavorato in nero nell’azienda di suo padre e poi sua. Solo un sospetto, avanzato dalle Iene. Perché a sera Di Maio si presenta a «Di Martedì» e spiega: «Ho lavorato poco e regolarmente con mio padre. Esibirò tutte le carte».
Ma le domande rimangono. Perché, si chiedono nel Movimento, il padre e la madre decidono di dare la società in eredità ai figli? Generosità genitoriale o altro? E come fa Luigi Di Maio a non sapere che c’è una causa in corso? Interrogativi non oziosi, che per ora non hanno risposta.
Il vicepremier ieri ha ricevuto alcuni parlamentari del Movimento e si è sfogato con loro: «Non posso essere io a pagare le colpe di mio padre, per storie vecchie di dieci anni. Io non ne sapevo nulla. Che cosa c’entro con questa storia?». Con il padre non si parla più, dopo la litigata. «Tenere famiglia, è quello il problema», dice un deputato campano.
In Parlamento per ora sono tutti con lui. «Accuse ridicole», dice il capogruppo Francesco D’Uva. «Ma come fanno a paragonarlo alla Boschi», dice Alessio Villarosa. Ma i malumori avanzano. E i suoi cercano una strategia: si va in tv e si contrattacca. Basterà?