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 2018  novembre 28 Mercoledì calendario

Biografia di Jacques Chirac

Jacques Chirac (Jacques René C.), nato a Parigi il 29 novembre 1932 (86 anni). Politico. Membro del Consiglio costituzionale (dal 16 maggio 2007). Ex presidente della Repubblica francese (1995-2007). Già primo ministro (1974-1976; 1986-1988); ministro per i Rapporti con il Parlamento (1971-1972), dell’Agricoltura e dello Sviluppo rurale (1972-1974), dell’Interno (1974); deputato (1967; 1968; 1973; 1976-1986; 1988-1995); sindaco di Parigi (1977-1995). Cofondatore nel 2002 dell’Union pour un mouvement populaire (Ump, inizialmente denominato «Union pour la majorité présidentielle»); già cofondatore nel 1976 del Rassemblement pour la République (Rpr), da lui presieduto dal 1976 al 1994 • «Chirac è d’origini borghesi. Suo padre, François, era un funzionario di banca. Sua madre, Marie-Louise Valette, era la figlia di un istitutore di Sainte-Féréole. Poco rispettoso della disciplina di famiglia, è un figlio ribelle. Quando s’accorge che vende L’Humanité sul sagrato della chiesa di Saint-Sulpice, suo padre è disperato. Ma Jacques è sempre più inquieto. Lascia la famiglia e s’imbarca a Dunkerque, come mozzo, su un cargo, il Capitaine Saint-Martin, direzione Stati Uniti. Siamo nel 1950. È l’anno americano di Chirac, lavapiatti ad Harvard, guardia del corpo di una ricchissima signora di 82 anni, fidanzato della figlia del re del cotone in Carolina del Sud. L’anno successivo, torna a Parigi. Frequenta Sciences Po. Nel 1954 entra all’Ena, l’École national d’administration, dove vengono allevati i migliori puledri di Francia. Il servizio militare lo fa in Algeria, nel 1956, sottotenente del 6° reggimento degli “Chasseurs d’Afrique”. Nel 1958 è contrario alla politica algerina di De Gaulle. Come consigliere dipartimentale della Corrèze, si prodiga per aiutare i quattro generali del “putsch d’Algeri”. Dopo essere stato eletto deputato della Corrèze, nel 1966, con l’aiuto del “re” degli aerei Marcel Dassault, Chirac entra nel governo di Pompidou. È sottosegretario agli Affari sociali. Poi viene trasferito alle Finanze come vice di Valéry Giscard d’Estaing. Durante il maggio 1968 è molto vicino a Pompidou. Partecipa a tutte le riunioni d’emergenza con i sindacati. La leggenda vuole che a quei tempi girasse sempre con la rivoltella in tasca. Quando nel 1969 De Gaulle si ritira e Pompidou diventa presidente della Repubblica, Jacques Chirac entra nel governo di Jacques Chaban-Delmas come ministro dell’Agricoltura. A Bruxelles si fa conoscere per il suo modo irruento di trattare i dossier. È un ministro temuto, ma non raccoglie il massimo della stima. Quando abbandona la sala del Consiglio dei ministri sbattendo la porta, i colleghi europei ridono. Va d’accordo soltanto con il ministro italiano, Lorenzo Natali, del quale diventa grande amico. Finita l’esperienza all’Agricoltura, passa agli Interni. Quando, dopo una lunga malattia, Pompidou muore, Chirac tradisce il leader gollista Jacques Chaban-Delmas e favorisce l’elezione di Valéry Giscard d’Estaing alla presidenza della Repubblica. È il 1974, Chirac diventa primo ministro. A Matignon resta solamente due anni: fra lui e Giscard non corre buon sangue. Mentre Raymond Barre prende le redini del governo, Chirac compie due capolavori politici: rianima il Movimento gollista chiamandolo “Rassemblement pour la République” e nel 1977 diventa il primo sindaco di Parigi. Uomo abituato al tradimento politico, non si smentisce nel 1981. Si presenta alle presidenziali di quell’anno, ma, quando viene eliminato al primo turno, anziché sottomettersi alla disciplina della destra per promuovere la rielezione di Giscard, agisce nell’ombra provocando la vittoria di Mitterrand. […] Nel 1986, al momento della prima coabitazione, è nuovamente primo ministro. Considera Matignon come il trampolino di lancio verso la presidenza della Repubblica. Ma nel 1988 deve fare i conti con Mitterrand, che nella competizione elettorale lo umilia. […] Jacques Chirac sembra un uomo finito. È a pezzi, ha l’esaurimento nervoso. Sulle sue fortune politiche, nessuno scommetterebbe un centesimo. Un’altra traversata del deserto, con approdo felice, sarebbe veramente un record. Calcoli sbagliati: Jacques Chirac è come un gatto dalle mille vite» (Ulderico Munzi). «Chirac, che continua ad essere sindaco di Parigi e presidente del Rpr, è di nuovo a capo dell’opposizione di destra. Critica il progetto di moneta unica ritenendo che sarebbe troppo favorevole alla Germania e afferma che “l’Europa non è la soluzione a tutti i problemi della Francia”. Sul Trattato di Maastricht, che sancisce l’Unione europea e prevede la creazione dell’euro, il Rpr è diviso. Philippe Séguin esalta la sovranità nazionale. Ma Chirac decide per il “sì” al referendum del 20 settembre 1995 (dove la vittoria è risicata, con il 51,04% dei voti a favore), ritenendo che una posizione contraria potrebbe ostacolare le sue ambizioni presidenziali. […] Le elezioni legislative del 21-28 marzo 1993 riportano all’Assemblea nazionale una maggioranza di destra, e si rende così necessaria una nuova coabitazione. Chirac, che ha fatto campagna per il ritiro del presidente, non vuole più tornare a Palais Matignon. Mitterrand, che deve scegliere un primo ministro nelle file del Rpr, nomina Édouard Balladur. […] È una “coabitazione di valori” che C. critica, rincarando la dose per spingere alla crisi con il presidente della Repubblica. Alle presidenziali del 1995 Chirac si candida per la terza volta, pur non essendo favorito nei sondaggi, che danno in testa il suo amico trentennale Édouard Balladur. A quest’ultimo tuttavia manca il contatto con la popolazione, mentre Chirac organizza, come di consueto, una campagna calorosa e bonaria, centrata sul tema della “frattura sociale” che è necessario ricomporre e sul suo impegno nella lotta alla disoccupazione. Al primo turno, il 23 aprile, prevale il candidato socialista Lionel Jospin con il 23% dei voti, mentre la destra è divisa, ma Chirac con il 20,8% è in seconda posizione davanti a Balladur, che ottiene il 18,6%. Quindi può affrontare il secondo turno. Balladur invita a votare Chirac, che il 7 maggio è eletto presidente della Repubblica con il 52,6% dei voti contro il 47,4% di Jospin. Ormai presidente, Chirac sceglie come suo primo ministro il fidato Juppé, che dà attuazione ad una politica di rigore per consentire alla Francia di entrare nella zona euro il 1° gennaio 1999. Ma questa politica provoca un’ondata di malcontento e di scioperi. La disoccupazione cresce, la maggioranza presidenziale è preoccupata. Chirac allora ritiene strategico arrivare alle elezioni legislative anticipate, in modo da ricompattare il suo campo. Tuttavia i risultati delle elezioni (25 maggio-1° giugno) vedono la vittoria della sinistra, che ottiene 320 seggi all’Assemblea nazionale contro i 139 del Rpr e i 109 dell’Udf. Chirac nomina primo ministro Jospin, trovandosi nuovamente costretto ad una coabitazione, questa volta come presidente. Deve consentire ai socialisti di governare, pur senza risparmiare le critiche alla loro politica interna. Ma in politica economica convince Jospin a corrispondere ai criteri di Maastricht per l’euro e ad accettare il Patto di stabilità e di crescita, al quale il primo ministro è ostile. […] Le condizioni per l’euro sono soddisfatte il 1° gennaio 1999 e la nuova moneta comincia a circolare il 1° gennaio 2002. Per quanto riguarda la politica internazionale e la partecipazione all’Unione europea, la coabitazione non provoca conflitti: entrambi, Chirac e Jospin, sono “euro-realisti” più che “euro-entusiasti” e parlano unanimemente nei Consigli europei» (Pierre Gerbet). In vista delle successive elezioni presidenziali, «per il suo settantesimo compleanno, si è offerto un nuovo partito e un nuovo profilo politico. Il movimento neogollista, l’Rpr (Rassemblement pour la République), da lui stesso fondato nel ’76 sui resti di un movimento protogollista, si è sciolto per dar vita, attraverso vari passaggi, all’Ump (Unione per un movimento popolare) in cui si raccolgono, per la prima volta, le tre anime storiche della Destra democratica francese: quella bonapartista, quella legittimista e quella orleanista. Vale a dire, in termini attuali, quella gollista, quella centrista (democristiana) e quella liberale» (Bernardo Valli). «Alle presidenziali del 2002, al primo turno, il 21 aprile, raccoglie solo il 19,98% dei voti, ma a causa delle divisioni della sinistra Lionel Jospin, candidato socialista, ottiene solo il 16,18% ed è distanziato da Jean-Marie Le Pen, leader del Front national e unico concorrente di Chirac al secondo turno del 5 maggio. Per evitare il successo – peraltro problematico – dell’estrema destra, i socialisti fanno votare Chirac in nome della difesa della Repubblica, permettendogli di essere rieletto con l’82,2% dei voti contro il 17,8% di Le Pen. Autentico “miracolato del suffragio universale”, Chirac dichiara di “aver capito il messaggio”. Alle elezioni legislative del 9-16 giugno Chirac, che non voleva un’altra coabitazione e aveva chiesto “una vera maggioranza parlamentare”, ottiene all’Assemblea nazionale la maggioranza assoluta dell’Union pour la majorité présidentielle (Ump). Per tre anni mantiene nel ruolo di primo ministro Jean-Pierre Raffarin, suo fedele collaboratore ma politico impopolare e inefficace, mentre la sinistra vince alle elezioni regionali del 21-28 marzo e alle europee del 13 giugno successivo» (Gerbet). «Dopo la trionfale rielezione del maggio 2002 Chirac si era fissato come obiettivo prioritario "la coesione nazionale e il patto repubblicano". E nel quadro di questo ambizioso ed essenziale progetto, in un Paese in preda a forti tensioni comunitarie, è stato promosso il coraggioso dibattito sulla laicità; e al contempo, per compensazione, al fine di attenuare le reazioni dei francesi musulmani, non sono mancate le condanne alle discriminazioni razziali o religiose. Con lo stesso principio, la legge che proibisce il velo islamico nelle scuole [così come ogni altro simbolo religioso, inclusi quelli ebraici e cristiani – ndr] è stata accompagnata da infervorate orazioni in favore dell’uguaglianza di opportunità da garantire ai figli di immigrati diventati cittadini francesi. Ma, quando poi s’è trattato di passare agli atti, l’Ump, il partito del presidente, s’è guardato bene dall’inserire nelle liste elettorali candidati musulmani. L’immagine del presidente più incline agli slogan che ai fatti si è accentuata: e non soltanto agli occhi delle comunità direttamente interessate, che ormai in larga parte fanno parte dell’elettorato; ma anche della massa di coloro che nel maggio 2002 lo votarono (turandosi il naso) per respingere il razzista Le Pen. […] Sull’altro grande tema, l’occupazione, le cose non sono andate meglio. […] Alla promessa d’una "grande legge di mobilitazione" sono seguite soltanto azioni episodiche, mirate per favorire il tradizionale elettorato di destra. Ad esempio il ribasso della tassa professionale per le piccole e medie imprese e il pubblicizzato accordo con il cancelliere tedesco per abbassare l’Iva nei ristoranti. Al tempo stesso i ricercatori di tutta la Francia manifestavano per gli scarsi investimenti e gli ancor più precari salari, accompagnati dalla solidarietà del Paese, sensibile al prestigio che la ricerca scientifica dà al nome della Francia nel mondo» (Valli). In ambito internazionale, Chirac «si oppone all’unilateralismo americano. Ma questa posizione presuppone una politica estera europea, che in realtà non esiste, nei confronti degli Stati Uniti, come ha dimostrato la crisi irachena. Mentre il primo ministro Blair si allinea alle decisioni americane per l’intervento militare in Iraq, Chirac se ne dissocia, subordinando qualsiasi iniziativa al mandato delle Nazioni unite. Conta sull’appoggio del cancelliere Schröder, che esprime sentimenti pacifisti. I due uomini politici, nel quarantesimo anniversario del Trattato franco-tedesco dell’Eliseo (22-23 gennaio 2003, a Parigi), si dichiarano contrari a qualsiasi intervento militare e sostenitori dell’Europa. Ma gli altri governi europei non seguono il loro esempio, preoccupati di salvaguardare i rapporti transatlantici e pronti, ad eccezione dei Paesi neutrali, a partecipare alla spedizione inglese e americana. Anche i Paesi dell’Europa centrale e orientale, candidati all’Unione europea, si allineano. Chirac li tratta da “maleducati, perché hanno perso un’occasione per stare zitti”, una dichiarazione che non sarà priva di strascichi. L’Europa si divide ancora di più, in quanto il presidente russo Vladimir Putin si unisce alla coppia franco-tedesca. Chirac, sostenuto da Putin, minaccia di ricorrere al diritto di veto della Francia al Consiglio di sicurezza nei confronti di qualsiasi mozione che preveda un intervento contro l’Iraq. Questa decisione peraltro sarà del tutto inefficace, in quanto il presidente americano Bush interverrà senza un mandato dell’Onu. […] Per quanto riguarda la gestione dell’Unione europea, il presidente Chirac si preoccupa soprattutto di salvaguardare i vantaggi acquisiti. […] Alla ratifica della Costituzione europea del 29 maggio 2005, dopo una campagna referendaria lunga e appassionata, prevale il “no” con il 54,87% e un’alta partecipazione, il 70% degli elettori. […] Dopo il “no” alla Costituzione europea, Chirac – dopo aver rifiutato sia di dimettersi che di sciogliere l’Assemblea per indire nuove elezioni – nomina un nuovo primo ministro, Dominique de Villepin, per procedere all’indispensabile risanamento della situazione, cominciando dalla lotta contro la disoccupazione» (Gerbet). La parabola politica di Chirac stava però ormai volgendo al tramonto, mentre appariva sempre più brillante l’astro nascente dell’ambiziosissimo e spregiudicato ministro dell’Interno in guerra aperta con la «feccia» delle banlieue, «quel Nicolas Sarkozy vera e propria creatura politica di Chirac fino al 1995, anno in cui il giovane Nicolas ha pugnalato alle spalle il suo padre politico, con la scelta di sostenere Balladur. Da qui l’inizio della lunga traversata nel deserto della destra francese, culminata con il “furto” del partito (nel 2004 Sarkozy ha strappato l’Ump a Chirac) e con il definitivo colpo di grazia del 2007: candidatura alle presidenziali al posto del nuovo delfino di Chirac, il poeta-diplomatico De Villepin, e ingresso trionfale all’Eliseo» (Michele Marchi). «Jacques è come svanito dalla vita pubblica il giorno in cui ha lasciato l’Eliseo, ai primi di maggio del 2007, quando ha dovuto ingoiare forse il boccone più amaro di tutta la sua avventura politica: la successione di Nicolas Sarkozy. […] Ultima battuta “politica” che si ricordi del vecchio Jacques: intercettato da un giornalista poco prima delle presidenziali, l’ex presidente rivelò ridendo che avrebbe votato Hollande e non Sarkozy» (Cesare Martinetti) • Il 15 dicembre 2011 il Tribunale di Parigi ha condannato Chirac a due anni di reclusione con la sospensione condizionale della pena, facendone il primo presidente francese dopo Pétain a subire una condanna penale, per accuse riguardanti il periodo in cui era sindaco di Parigi. «Chirac aveva infatti creato 21 posti di lavoro finti presso il Comune, apposta per poter pagare con denaro pubblico altrettanti stipendi di persone che lavoravano invece a tempo pieno per il suo partito. Avrebbe potuto avere anzi fino a 10 anni. Ma l’ex presidente […] ha vuoti di memoria, e al momento della sentenza non era neanche presente in tribunale, proprio per motivi di salute. Insomma, i giudici non hanno voluto infierire. Hanno però tenuto a confermare il principio che l’ex presidente andava punito: anche perché lo stesso Chirac aveva fatto consacrare nella Costituzione il principio secondo cui i procedimenti contro il capo dello Stato sono sospesi per tutto il periodo in cui rimane all’Eliseo come pure la prescrizione, e il tutto riprende dopo la fine del mandato» (Maurizio Stefanini). Pur contestando il verdetto, Chirac rinunciò a ricorrere in appello • Nel 2002 scampò a un attentato. «Era il 14 luglio 2002. Rieletto all’Eliseo, Jacques Chirac sfilava sulla sua auto lungo gli Champs-Élysées per l’anniversario della presa della Bastiglia quando un giovanotto mescolato al pubblico punta il fucile contro di lui. Il colpo devia, non ci sono feriti, lo sparatore è subito arrestato. Si chiama Maxime Brunerie, ha 25 anni, frequenta l’ambiente dell’estrema destra» (Raphaëlle Bacqué). Condannato a dieci anni di reclusione, Brunerie è uscito dal carcere nell’agosto 2009 grazie agli sconti di pena per buona condotta e a un apparente ravvedimento • Sposato dal 1956 con Bernadette Chodron de Courcel, da cui ha avuto due figlie: Laurence (1958-2016), medico, morta prematuramente per una grave forma di anoressia nervosa, e Claude (1962), consulente, votata come la madre alla carriera politica del padre; nel 1979 la famiglia adottò inoltre una profuga vietnamita, Anh Dao Traxel (1958), oggi presidente di un’organizzazione di beneficenza • Tra i suoi principali interessi, il vino, il cibo (in particolare la testina di vitello) e, soprattutto, le donne. «Vero Casanova dell’Eliseo. […] Anche sua moglie Bernadette ammetteva la debolezza del presidente per le donne: “Les femmes, ça galopait”. La fama è stata confermata dall’autista, che in tanti anni di servizio l’ha accompagnato a innumerevoli appuntamenti con elette, consigliere e attiviste politiche. Tutti incontri che si consumavano rapidamente: “Cinque minuti, doccia compresa”, puntualizza lo chauffeur. Secondo Renaud Revel, giornalista del settimanale L’Express e autore del saggio Amazones de la République, nella notte del 31 agosto 1997 in cui morì Lady Diana Chirac era a casa dell’attrice Claudia Cardinale: “Né il primo ministro né la moglie, Bernadette, sapevano dove fosse – ha raccontato Revel –. Fu il suo autista, che lo attendeva impaziente sotto la casa parigina della Cardinale, a informarlo dell’accaduto appena il presidente si congedò dalla bella attrice alle tre di notte. Chirac si precipitò direttamente sul luogo dell’incidente, dove si trovavano già il ministro dell’Interno e l’ambasciatore inglese. Mancava solo lui”» (Leonardo Coen) • Smodata passione per il sumo. «Un giorno, prima di uno dei suoi numerosi viaggi in Giappone, mostrò al Club franco-japonais des entreprises un dépliant con i partecipanti a un campionato di sumo. Chirac indicò loro chi doveva vincere, e […] venne accontentato. Il presidente gollista andava pazzo per lo sport nazionale giapponese, tanto che chiamò il suo barboncino Sumo» (Mauro Zanon) • «Fin da giovane, Chirac ha avuto una sola ambizione: sedurre uomini e donne, vecchi e giovani, poveri e ricchi, città e campagne, conservatori e riformisti con l’unico obiettivo di raggiungere il potere. […] “Quell’uomo ha preso la Francia in braccio”, disse di lui François Mitterrand, un altro gran seduttore. E per un uomo politico l’amore di un Paese significa la conquista del potere. Chirac ne sa qualcosa. Ha battagliato sempre, contro tutto e tutti. Come i vecchi radicali francesi d’altri tempi, è stato un uomo di destra, di centro e di sinistra, a seconda delle stagioni e dei suoi interessi. È stato di centro quando si è alleato con Valéry Giscard d’Estaing ed è stato con lui primo ministro per due anni, facendo approvare la legge sull’aborto e aprendo le porte della Francia alle famiglie degli immigrati; è stato di destra nell’86-88, quando fu di nuovo primo ministro e il suo ideale era il liberalismo di Ronald Reagan e Margaret Thatcher; infine, è stato di sinistra nel 1995, quando per sconfiggere il suo rivale moderato, Édouard Balladur, puntò tutte le sue carte sulla "frattura sociale", fece promesse mirabolanti ai ceti popolari e dimenticò tutto una volta eletto. Non è fuori luogo definirlo una banderuola. Lo è stato spesso, ma forse bisognerebbe chiamarlo Zelig per la sua capacità di indossare sempre nuovi panni. La sua instabilità e i suoi frequenti cambiamenti di idee sono leggendari: non a caso, al primo turno delle presidenziali non è mai andato al di là di uno striminzito 20,47 per cento, ottenuto nel 1995. […] Anche se ha spesso cambiato idea, Chirac non si è mai compromesso con l’estrema destra. Ne ha avuto la tentazione, a quel che si dice, ma l’ha sempre respinta. Un rigore che ha pagato caro politicamente, perché gli ha fatto perdere le presidenziali dell’88 e le politiche del ’97, ma al quale oggi tutti rendono omaggio» (Giampiero Martinotti). «Sin dal 1995 Chirac ha tentato in ogni modo di cancellare dalla memoria dei francesi l’amato "Tonton". L’ombra di Mitterrand ha perseguitato Chirac in tutte le sue grandi scelte politiche, così come l’ossessione per le "memorie", per qualche segreto intimo da rivelare. All’atlantismo del presidente socialista nella crisi degli euro-missili si è contrapposta la patologia antiamericana di Chirac. Perfino il referendum chiracchiano sul Trattato europeo è stato motivato da un banale antagonismo con quello mitterrandiano sui Trattato di Maastricht. Con esiti opposti: Mitterrand sarà ricordato come uno dei costruttori dell’Unione europea, mentre Chirac è e rimarrà il presidente francese che ha affossato il progetto europeo. […] L’ultimo e forse unico atto politicamente rilevante di Chirac è stato in continuità con il primo gesto politico di Mitterrand presidente: l’iscrizione nella Costituzione francese dell’abolizione della pena di morte. Il resto è l’immagine di quanto avvenuto il 28 aprile del 1988, durante il duello televisivo tra Mitterrand e Chirac alla vigilia del voto presidenziale. "Questa sera io non sono il primo ministro e lei non è il presidente della Repubblica: siamo due candidati, e mi permetterà di chiamarla ‘signor Mitterrand’", aveva detto Chirac. "Lei ha perfettamente ragione, signor primo ministro", aveva risposto Mitterrand. Ecco: il presidente uscente [Chirac – ndr] è sempre stato un primo ministro, uno dei tanti, uno di quelli che passano e che la storia dimentica» (David Carretta) • «Non vivo nel culto del passato. Mi sono impegnato totalmente nella missione che mi era assegnata al servizio dei francesi. La si può approvare, criticare: poco importa».