Il Sole 24 Ore, 28 novembre 2018
Le ragioni economiche dello scontro Russia-Ucraina
Avevano cercato di costruirlo insieme: e prima di russi e ucraini, l’idea di un ponte che legasse la Crimea alla costa russa del Mar Nero era stata accarezzata dai britannici per una ferrovia Londra-Delhi; poi dai nazisti, che bombardarono quanto erano riusciti a costruire per non lasciarlo ai russi; e dai sovietici, che misero al lavoro l’Armata Rossa per veder crollare il loro ponte speronato da un iceberg.
Non è solo per lo scontro di domenica scorsa che le acque del Mar d’Azov vengono definite tempestose: lo sono da sempre per la geologia complicata dello Stretto di Kerch, la natura limacciosa del fondo del mare, l’acqua dolce portata dal Don che diventa più facilmente ghiaccio, i venti feroci e i tornado che ben conosce Novorossiisk, re dei porti russi, il principale per l’export di grano. Le gigantesche difficoltà tecniche gonfiavano il costo del ponte di Kerch, e quando finalmente russi e ucraini trovarono l’accordo su un progetto comune, nel 2014, era troppo tardi: sul Maidan di Kiev erano già iniziate le proteste, e il mese dopo la crisi precipitò per separare fatalmente i due Paesi.
E ora che la Russia lo ha costruito da sola, il ponte di Kerch inaugurato in maggio è un cancello che apre un mondo completamente trasformato. E qualunque cosa succeda in quelle acque, dal Mar Nero al Mar d’Azov, si infrange nella convinzione russa che la Crimea sia tornata legittimamente a far parte della Federazione; e nella determinazione ucraina a non riconoscerlo. Dal marzo 2014 (dopo il referendum in Crimea non riconosciuto dalla comunità internazionale) la Russia «è l’unico governo sovrano sullo Stretto di Kerch, e quelle sono sue acque interne», dice Grigorij Karasin, viceministro degli Esteri russo,in un’intervista a Kommersant. Secondo Kiev, invece,la costruzione del ponte è una violazione della propria sovranità e integrità territoriale.
Un trattato firmato nel lontano 2003 da Vladimir Putin e dal presidente ucraino allora in carica, Leonid Kuchma, regola l’utilizzo condiviso di Mar d’Azov e Stretto di Kerch da parte di Ucraina e Russia, «nazioni storicamente fraterne». Acque pescose di un mare interno – dunque non soggetto, dice Karasin, alla Convenzione Onu sul diritto del mare – riconosciute come «economicamente importanti» per entrambi i Paesi, liberi di accedervi con mercantili e navi militari.
Se l’accordo è sopravvissuto alla perdita ucraina della Crimea, è stato il ponte a cambiare le cose. Ormai nel Mar d’Azov all’Ucraina sono rimasti 300 km di litorale, la costa settentrionale, con due grossi porti industriali: Mariupol e Berdyansk, importanti per l’esportazione di grano e acciaio, sedi di numerose compagnie ittiche. Anche i villaggi della costa vivono di pesca e commerci marittimi. Senza più libero accesso alla Crimea, a fianco la regione separatista di Donetsk: Mariupol è vicinissima alla linea del fronte.
Gli ucraini registrano un irrigidimento di controlli e ispezioni dei propri mercantili dalla primavera scorsa, a opera della Guardia costiera russa diretta dall’Fsb, i servizi di sicurezza. Controlli che Mosca spiega con la necessità di sorvegliare una zona che il nuovo ponte ha reso ancor più strategica. Ma se già il conflitto nel Donbass aveva visto crollare gli scambi e i profitti del porto di Mariupol, isolamento e ritardi provocati dalle ispezioni contribuiscono ad aumentare le perdite, disincentivando l’uso di questi porti da parte di compagnie marittime ucraine e internazionali. Come se non bastasse l’altezza dell’arcata centrale del ponte russo – 35 metri – che esclude i mercantili più grandi.
La vicenda del rimorchiatore ucraino sequestrato presso Kerch ha fatto esplodere la situazione: la Russia, accusa Kiev, sta cercando di destabilizzare l’Ucraina alla vigilia del voto, di isolare ancor più i suoi porti e trasformare l’Azov in un mare interno russo. Con l’aiuto di un ponte da 4 o 5 miliardi di dollari, voluto a ogni costo dal Cremlino: non solo con il compito, se Kiev ha ragione, di collegare la Crimea alla ritrovata madrepatria.