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 2018  novembre 27 Martedì calendario

Un lieve tratto di matita e nacque Adelphi

Sabato 26 ottobre 1957. Franco Lucentini, Mimmina e Luciano Foà, insieme a Daniele Ponchiroli salgono a Superga per vedere lo Sputnik. Grosso e luminoso come Venere alle 18 attraversa il cielo di Torino e scompare verso Chieri. Mesi dopo il gruppo einaudiano, quasi una famiglia, si trova a cena; si sono aggiunti Bobi Bazlen e Giulio Bollati. Si discute del veicolo spaziale russo. Foà e Ponchiroli sono entusiasti; per loro è la materializzazione di un nuovo mito che agisce sul piano religioso; Bazlen e Bollati scettici: è un normale progresso, dicono. Bobi aggiunge di averlo previsto e che il progresso umano sfocia in due motivi opposti: benessere sotto forma di beni di consumo, da un lato, e guerra, dall’altro.
Quattro anni dopo Foà lascia l’Einaudi, di cui è segretario generale dopo la morte di Pavese, dal 1951, per tornare a Milano e dare vita all’avventura di una nuova casa editrice: Adelphi. Gli anni di Torino sono stati importanti per lui, come scrive in una lettera al Corriere della Sera. Nel 1947 si era iscritto al Pci da cui esce, come molti einaudiani, nel 1956, dopo l’invasione dell’Ungheria, ma negli anni in cui rimane a Torino ha aderito, scrive, al progetto culturale e politico dell’editrice. La leggenda che Adelphi sia nata in rottura con la linea filocomunista dell’Einaudi non è del tutto vera.
Quando Foà arriva a Torino nel 1951, ha dietro le spalle una discreta carriera editoriale. A ventidue anni, nel 1937, ha collaborato con il padre Augusto all’Agenzia Letteraria Italiana; in quello stesso anno incontra Bobi Bazlen, con cui stringerà un lungo sodalizio. Nel 1941 è il coordinatore del progetto editoriale di Adriano Olivetti, le Nuove Edizioni Ivrea, da cui nasceranno poi le Edizioni di Comunità. Si rifugia in Svizzera, per sfuggire ai tedeschi, e lì traduce Hemingway, Per chi suona la campana. Quindi per dieci anni a Torino, tessitore quasi invisibile di libri e rapporti umani e culturali, un periodo che lascerà molti segni tra cui l’edizione del Diario di Anna Frank e la ristampa di Se questo è un uomo, vero avvio del fenomeno Primo Levi. Il fitto carteggio con Bobi Bazlen, da cui provengono molte delle schede editoriali del triestino, racconta la storia di quel nuovo progetto imperniato sull’idea di stampare libri unici, in cui l’aspetto culturale s’intrecci con quello umano. Nel foglio delle prime uscite editoriali dell’Adelphi, costituita nel giugno del 1962, ci sono i “Classici": Defoe, Keller, Tommaseo, Büchner. Foà vi scrive che il programma letterario e saggistico s’affianca alla consorella Edizioni di Comunità; i capitali per cominciare li ha infatti messi Roberto Olivetti. E poi: «Ogni epoca, ogni generazione, ha le sue opere classiche. Sono le opere che pur nella varietà degli stili, dei contenuti, dei tempi e dei luoghi, rappresentano nel loro insieme il punto d’arrivo della cultura che ci ha formato e il punto di partenza di quella che ci formerà». L’idea è generazionale e, anche se ha quarantasette anni, Foà ha ben presente che l’editoria nasce dalla realtà di piccoli gruppi e se ne alimenta.
Cosa pubblicherà Adelphi? Libri «appartenenti al patrimonio di culture rimaste fino a ieri quasi ignorate»; e «non una serie ideale e finita, quindi non pietre di paragone o d’intoppo, ma opere e autori che ci appariranno, a mano a mano che procederemo contemporanei e necessari».
L’idea della contemporaneità dell’attività editoriale è fondamentale in Foà, che ama le biografie, i libri di storia, la memorialistica, come mostra la sua biblioteca donata dalla famiglia alla Fondazione Mondadori, ricca di volumi stranieri, riviste, libri con dedica di autori einaudiani, prima di tutto, ma anche della sua casa editrice, legati a lui da amicizia.
Foà è l’editore con la matita in mano, come ricorda Manuela La Ferla, che l’ha frequentato. Armato di piccole matite corregge, rifà, appunta sino agli ultimi anni – scompare nel 2005. I suoi autori, che pubblica all’Adelphi, sono Goethe, Kafka, Walser, e poi Huxley e Norman Douglas. Traduce, antica passione, usando lo pseudonimo di Luciano Fabbri, almeno due libri di Joseph Roth, e rivede tutte le traduzioni di questo autore, e anche di Konrad Lorenz, Hoffmansthal, Walser. Come molti scrittori della sua generazione ama Stendhal. Riunisce in sé tre attività: l’editore, il traduttore e il curatore. Sue sono le Lettere editoriali di Bobi Bazlen il cofondatore di Adelphi, cui si aggiungerà il giovane Roberto Calasso, anche lui amico di Bobi.Per trentacinque anni Foà ha governato l’Adelphi negli alti e bassi economici come un vero dirigente d’azienda. Nel 1965 la casa editrice è già in difficoltà che si risolveranno con il contributo di amici e industriali che credono in quel piccolo progetto destinato a segnare la cultura italiana.
Adelphi nasce dopo una gestazione, come mostra il carteggio con Bazlen, durata un ventennio, a cavallo della guerra e poi in seno all’Einaudi. Quello che testimonia la mostra dei suoi libri alla Fondazione Mondadori è una continuità di pensiero e di stile, una costanza e una ferrea determinazione nel perseguire un’idea di un’editoria per cui ogni libro è un incontro con qualcosa di vivo, per quanto scritto secoli prima. Il contemporaneo è questo: essere nel proprio tempo con decisione senza arrendersi alle cose facili e sicure. La rotta d’editore l’ha tracciata con il segno sottile delle sue matite, con note in margine e piccoli quaderni d’appunti, e poi lettere, scambi e incontri importanti, nel silenzio fervido d’ogni giorno. Il bosco dei libri che cresce non fa rumore.