L’ultima frontiera dell’innovazione didattica in università, dove siedono ventenni nativi digitali, è sperimentata nei suoi corsi e presto sarà estesa alle altre facoltà dell’Ateneo. Il vulcanico professore, romano, 44 anni, l’ingegnere che fa ricerca sulla gestione della filiera logistica e manifatturiera, vanta un’esperienza di insegnamento in Cina e Inghilterra. E molta passione nello stare in cattedra.
«Non serve per fare carriera, i docenti in Italia sono valutati solo per la ricerca. Ma ciò nonostante chi ha scelto di dedicare la propria vita alla docenza ci tiene a fare buona didattica».
Professore, come avviene una sua lezione?
«Entro in aula, indosso un auricolare e comincio a insegnare. Mentre io parlo la mia voce è registrata e sbobinata in tempo reale, anche tradotta in qualsiasi lingua, dall’inglese all’arabo. Il testo, con grafici e slide, passa nei telefonini degli studenti. Loro sono collegati alla app e possono segnarsi un passaggio importante, che servirà per il ripasso, o premere il tasto col punto interrogativo per segnalare in forma anonima che non hanno capito qualcosa. Così io mi fermo e rispiego».
Non si distraggono a seguire la lezione sugli smartphone piuttosto che prendere appunti con carta e penna?
«Al contrario, sono più attenti. Chiunque fa lezione oggi sa bene cosa avviene: una schiera di registratori sulla cattedra, l’alibi per distrarsi. Poi a casa sbobinano perdendo un sacco di tempo. Quasi nessuno inoltre alza più la mano. Con questa applicazione tutti sono incentivati a intervenire e si ritrovano appunti digitali che permettono di trovare l’esatto punto che interessa, di collegarsi ai contenuti di tutto il corso o di lezioni tenute da altri docenti. Lo studio diventa approfondimento».
Che tipo di programma usate?
«Si chiama Eiduco, è una piattaforma olandese nata per trascrivere le sedute psicoanalitiche. Lo abbiamo sperimentato per due anni a Ingegneria, adattandolo anche grazie al contributo degli studenti, ed ora sarà esteso alle altre facoltà. Un sistema facile da gestire. Poi io uso anche una App ideata da me e gratuita, si chiama Xox».
A cosa serve?
«È un progetto che consente di aprire una sessione di domande per l’aula. Gli studenti rispondono, i risultati sono riepilogati e possono così essere discussi. Tutti i più recenti studi sulla teaching excellence mettono in evidenza l’importanza di coinvolgere gli studenti durante la lezione. Harvard dispone di un dispositivo hardware con funzioni analoghe. Lo scopo è sviluppare nella lezione concetti già in parte appresi».
Le università si stanno muovendo sul fronte dell’innovazione didattica: ma non basta la tecnologia per farlo, concorda?
«La tecnologia non è che il "grilletto" che fa scattare l’innovazione. Il mio è un invito a sperimentare nuovi e diversi modi di insegnare avvalendosi anche di tecnologie ora disponibili e che si avvicinano al modo di comunicare dei giovani che abbiamo di fronte. Nonostante la didattica non paghi, nel nostro Paese ci sono atenei e docenti che continuano a farsi in quattro per innovare, spesso superando il livello delle più prestigiose università internazionali. Anche nonostante la depressione che vive il sistema universitario italiano».