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 2018  novembre 27 Martedì calendario

Il segreto di essere Capo. Il generale cacciato ora lo spiega a Macron

Sono passato dal guidare 250mila uomini e donne a comandare solo me stesso». Non ha perso il senso dell’umorismo il Generale Pierre de Villiers. E si capisce: l’ex capo di Stato maggiore silurato l’anno scorso da Emmanuel Macron non è mai stato così popolare e influente. Da quando è stato cacciato, Villiers è diventato consulente per le imprese, viene invitato a conferenze internazionali sulla base della sua quarantennale esperienza e gira la Francia per promuovere i suoi libri. “Servir”, servire, è stato un bestseller e il generale ha appena mandato in stampa “Qu’est-ce qu’un chef?”, riflessione intorno alla figura del Capo.
Dietro ai suoi consigli per creare una forte leadership molti vedono un’allusione a Macron, crollato nei sondaggi, assediato dalla protesta dei gilet gialli. Il generale smentisce. «Sono un soldato, quindi resto leale. E non serbo rancore» spiega durante un incontro con la stampa estera. A provocare la rottura con il capo dello Stato nell’estate 2017 erano state le sue critiche per i tagli alla Difesa del nuovo governo. Un gesto di cui non si pente. «Non l’ho fatto per me ma per i miei soldati: se fossi rimasto zitto non avrei più potuto guardarli negli occhi» racconta Villiers secondo cui lo scarto tra l’aumento delle missioni all’estero e la diminuzione dei mezzi era diventato ormai «insostenibile». Nel libro Villiers indica le qualità per essere un buon leader: concepire, convincere, condurre, controllare. Il verbo che oggi fa più difetto ai governanti, aggiunge, è«convincere». «Vediamo ovunque, non solo in Francia, che si è aperto un fossato tra le élite e il popolo. È venuto meno il rapporto di fiducia». Guidare un esercito non è come governare una democrazia, ammette l’ex capo di Stato maggiore, ma bisogna sempre ricordarsi «degli ultimi, di chi non ha potere né voce».
Villiers, nato a Nizza sessantadue anni fa, padre di sei figli, boccia l’idea di un esercito europeo lanciata da Macron e ripresa da Merkel. «Se si tratta di unificare truppe e comando è un’idea impossibile: un esercito fa riferimento a una nazione, a una sovranità» taglia corto il generale che cita la sua esperienza in Afghanistan. «Una missione militare con quindici nazioni e per qualsiasi problema ognuno faceva riferimento alle proprie capitali, com’è normale che sia». Un altro esempio, spiega, è la rapidità di intervento. Nel 2013 l’operazione Serval in Mali è stata lanciata in due ore da Parigi. «Sarebbe stato inconcepibile se avessimo dovuto aspettare la Nato o altri governi».
In Europa, prosegue, le priorità geostrategiche sono diverse. «I paesi dell’Est sono più preoccupati dalla minaccia russa di quelli del Sud che si concentrano su rischio terrorismo e immigrazione». È invece favorevole a rafforzare collaborazioni militari dentro all’Ue come già avviene sulla flotta aerea o i sottomarini. «Il mio motto è: un’Europa più potente con una Francia sovrana».
Il successo della nuova vita senza divisa dell’ex capo di Stato maggiore lascia intravedere un futuro politico. La Quinta Repubblica è stata fondata da un generale. Villiers, fratello del leader sovranista Philippe, nega. Ripete di voler solo dare un «modesto contributo» al dibattito sulla crisi delle democrazie e l’ascesa dei populismi. «Un leader – commenta – deve essere esemplare, avere una faccia sola, fare ciò che dice». È convinto che «non si nasce Capo, lo si diventa» e ricorda una delle sue prime missioni da giovane luogotenente. «Ero arrivato pieno di certezze ma ho imparato molte cose dai miei sottoposti. Per essere un leader bisogna saper ascoltare, capire che la vera ricchezza è negli altri». Difficile non vedere un riferimento all’arroganza di Macron, sempre più isolato nelle stanze dell’Eliseo.