la Repubblica, 27 novembre 2018
Il destino del Regno Unito si deciderà l’11 dicembre
Theresa May ha scelto la fatidica data del voto sulla Brexit, che molto probabilmente deciderà anche il destino politico della premier britannica. Perché oramai il Regno Unito da ieri è in piena campagna elettorale, fulmimea e dalle conseguenze ignote.
Non è un caso che da domenica sera giri con insistenza la voce di un dibattito televisivo tra May e il leader dell’opposizione laburista Jeremy Corbyn. La premier lo vuole fortissimamente per due motivi. Uno: sa che Corbyn, il quale ha ribadito per l’ennesima volta che non voterà il “disastroso accordo” tra May e l’Ue per l’uscita dal Regno Unito, sulla Brexit zoppica: è sempre stato piuttosto euroscettico ma adesso vuole unione doganale e una sorta di mercato unico permanenti (ma allora che Brexit sarebbe?). Secondo: May è alla disperata caccia di voti per ottenere una miracolosa maggioranza sul voto dell’accordo previsto tra 15 giorni. Dunque ogni sorpresa o incognita gioca a suo favore, perché, dopo quasi due anni di negoziazioni e un patto fragilissimo, la premier ha poco da perdere.
Ieri May, in un accorato discorso alla Camera dei Comuni, ha ribadito le parole delle autorità di Bruxelles con cui oramai c’è un’intesa totale: dentro o fuori, il mio accordo oppure il caos. Ha ammesso che il patto è un compromesso imperfetto, ma «rispetta la decisione del popolo sula Brexit». I suoi nemici sono sempre gli stessi: i conservatori brexiters che hanno rinunciato a sfiduciarla perché aspettano la sua umiliazione in Parlamento, gli unionisti nordirlandesi (ormai ex alleati) cui questo patto non va proprio giù. E ovviamente Corbyn che vuole andare al voto.
A dare l’ennesima spallata al fortino di May ieri ci ha pensato il presidente americano Donald Trump: l’accordo di May sulla Brexit «non permette a Londra di negoziare a livello commerciale con noi» e «la Ue l’ha spuntata su vari punti». Due cose entrambe vere (la prima per almeno due anni). Ma è l’ennesima dimostrazione che la premier è terribilmente sola.
E che all’America First di Trump il No Deal sta benissimo.