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 2018  novembre 27 Martedì calendario

Vanessa Ferrari si racconta

La sua è una delle più intriganti storie di sport italiano. Una storia ahimè scandita da una serie di infortuni ai quali Vanessa Ferrari ha sempre reagito da campionessa della resilienza: in tal senso, è un manuale fatto persona. In lei la laboriosità bresciana, eredità paterna, si salda con il senso del rigore portato in dote da mamma Galya cresciuta nella Bulgaria filo-sovietica. 
Ha iniziato presto a primeggiare. Il grande exploit l’ha avuto nel 2005 ai Giochi del Mediterraneo dove ha vinto la medaglia d’oro in tutte le specialità di ginnastica artistica, salvo l’argento alle parallele asimmetriche. Ma il capolavoro è arrivato con l’oro nel concorso generale ai Mondiali di Aarhus, in Danimarca, nel 2006: era la prima volta nella storia della ginnastica che un’azzurra otteneva il titolo mondiale. Era uno scricciolo: 143 centimetri per 36 chili. Da quel momento, medaglie a cascata: 5 ai mondiali, 10 agli Europei, 8 in Coppa del Mondo per citare le più significative.
È una sportiva che si distingue per fair play al punto d’aver ricevuto l’omonimo premio a Castiglion Fiorentino dove l’abbiamo incontrata. Ma qual è il livello di lealtà e correttezza che trova nel suo ambiente, fra le colleghe? «Nelle gare per club si gareggia l’uno contro l’altro, invece quando vi sono gli appuntamenti con la Nazionale si è chiamati a fare squadra per ottenere risultati. Non è certo lo sport di squadra per eccellenza, infatti si gareggia singolarmente e i propri punteggi qualificano per le finali personali. Tuttavia direi che i rapporti sono buoni, ormai ci conosciamo tutti».
ACHILLE TRADITORE
Cosa succede quando la mente va a quella medaglia del 2006 che fece di Vanessa Ferrari una leggenda? «Solo ora, guardando indietro, mi rendo conto che quella vittoria è stata la più importante della mia carriera, ero piccola e senza problemi fisici. Una volta iniziati i problemi ai tendini d’Achille, indicativamente da Pechino 2008, ogni medaglia è stata comunque una gioia immensa». A proposito di infortuni, confessa che le è impossibile guardare i video dei vari incidenti, compreso l’ultimo dell’ottobre 2017. Prova i brividi al solo pensiero. «Il mio sport va affrontato con una serenità mentale ferrea, basta un pensiero e si sbaglia tutto. Rivedere gli infortuni può creare dei blocchi». 
Con l’ultimo ha proprio sentito crollare il mondo addosso, lottava per la medaglia d’oro in una finale mondiale, ma un lungo lavoro è stato vanificato per quella rottura del tendine d’Achille. Nel frattempo continua la riabilitazione. Perché se vi fossero carte da giocare, lei è pronta a rimettersi in gioco. Vuole provare pur consapevole che «l’età avanza, ma se non fosse per la carta d’identità, mi confonderei tra le più giovani atlete». Non esclude, insomma, le Olimpiadi di Tokyo. 
Dopo ogni incidente si è sempre rialzata, poche le annate durante le quali non abbia subito stop a causa di problemi fisici: «Il duro lavoro, per poter tornare al meglio è fondamentale e se si concretizza con una vittoria non c’è niente di più gratificante». Per riprendersi ha sempre contato sul sostegno della famiglia, delle persone che le vogliono bene e dei fan: «Ogni loro messaggio è d’aiuto». Non ricorre a supporti psicologici perché «pian piano metabolizzo tutto e arrivo da sola alle mie conclusioni», dice questa donna di 28 anni. 
L’ARMA DEL CORPO
Vanessa ha sofferto di disturbi alimentari. Racconta che durante il periodo di Pechino 2008, si riteneva «che si dovesse patire la fame per riuscire a dare il massimo. Nel libro Effetto Farfalla ho raccontato tutto ciò che ho vissuto insieme alle mie compagne. Gli allenatori devono fare gli allenatori, per l’alimentazione bisogna affidarsi a chi di competenza, a uno staff medico ad esempio». Ora si regola in modo autonomo, «detesto che qualcuno mi controlli dopo ciò che ho passato», sbotta. Anzi: si concede piccoli peccati di gola, «per la verità si tratta più di un contentino a livello mentale che altro».
Per una professione del genere il corpo è tutto, «la mia arma, lo strumento grazie al quale ho fatto ciò che ho fatto nonostante le difficoltà. Diciamo che sono io ad essere in debito con il mio corpo, dati i vent’anni di allenamento continui, carichi di lavoro enormi e periodi con scarsa alimentazione forzata». 
OCCHIO ALLE BABY
Risultati come i suoi si ottengono grazie al talento e a un lavoro indefesso, talvolta brutale. Per cui ammette di avere una vita centrata sullo sport: «Non ho mai avuto tanto tempo per socializzare e fare mille amicizie, nasce tutto dalla ginnastica praticamente». Per il resto? Oltre ad allenarsi cosa fa Vanessa Ferrari? «Faccio terapie, faccende domestiche, sto con il mio ragazzo e i miei due cani. I fine settimana a volte riposo, altrimenti faccio presenze o stage nelle palestre o eventi».
Come vede la ginnastica artistica nei prossimi anni? E come è cambiata dall’epoca dell’icona del passato Nadia Comaneci? «Lei è una leggenda. Tuttavia era un’altra ginnastica, gli attrezzi sono gli stessi ma c’è stata un’evoluzione della tecnica. La ginnastica è in continua mutazione, cresce a dismisura. Prefiguro però un problema: reggeranno i fisici delle atlete? Ormai gli infortuni cominciano fin da bambine. Il punto chiave sarà la longevità delle atlete», ginnaste selezionate già alla base, in modo darwiniano: «Alle prime difficoltà si vede subito chi può permettersi di seguire un percorso come quello della ginnastica, e non parlo di successi. Prima bisogna capire se si è in grado di percorrere la strada di preparazione. Per arrivare al successo si deve partire dalle fondamenta e senza una base solida si è finiti in partenza».