Libero, 27 novembre 2018
L’acciaieria di Piombino in mano indiana
Chi se la fuma, la storia delle acciaierie di Piombino? La vicenda del secondo centro siderurgico d’Italia è la Cenerentola dei pasticci economico-industriali di casa nostra, rimasto sempre in coda alle cronache. Eppure è un vero intrigo internazionale, che da Roma, attraverso la Russia, passa dall’Algeria e arriva in India. È una storia di ciechi che seguono gli storpi: cieco è lo Stato, che si ficca in un impiccio facilmente evitabile, e per uscirne finisce con l’accettare in ginocchio 500mila euro da una causa intentata per 80 milioni; azzoppati i sindacati, storpi i politici locali e nazionali. E ora pure Luigi Di Maio, quello del cambiamento. La storia delle acciaierie di Piombino, romanzo di letteratura industriale, comincia sotto una pessima stella: nel 1864 un imprenditore di origini inglesi si mette in testa di produrre acciaio ma nel giro di due anni l’impresa entra in crisi, dandoil via a 150 anni di fallimenti. Solo dagli anni Sessanta, le acciaierie sono passate per le proprietà di Iri, Fiat, Lucchini e il colosso russo Severstal; nel 2012, è partital’amministrazione straordinaria, con Piero Nardi come commissario. INDIA O ALGERIA? Gli elementi che ci interessano partono con il bando per la vendita degli impianti della ex Lucchini, nel 2013: sembra essere favorito Jindal South West, il gruppo delmagnateindiano della siderurgia Sajjan Jindal, società da 13 miliardi di dollari; ma l’impatto occupazionale proposto dagli indiani ai sindacati non quadra (assumerebbero 700 dipendenti su 2.200). Così, Nardi scansa il problema e spinge per il gruppo algerino Cevital SpA, che fa capo a Issad Rebrab. Riccardo Fabiani, analista esperto di Algeria, ci va giù pesante sulla classe imprenditoriale del Paese arabo: «Èassolutamente parassitaria. Sono un’èlite predatoria che ha imparato a fare soldi in uno Stato arbitrario». In effetti gli algerini, produttori di succhi di fruttae commercianti dilavatrici e automobili, di acciaio sanno pochino. Tanto che a Piombino volevano raffinare lo zucchero, produrre mangimi e bioetanolo e fare del porto una base logistica per Medio Oriente e Africa. Quanto all’acciaio, sostenevano di essere in grado di far schizzare la produzione fino ai 2 milioni di tonnellate, cifra iperbolica. Nel 2015 Rebrab viene accolto coni tappeti rossi, sia dalla politica (Matteo Renzi in prima fila) sia dai sindacati, perché l’algerino punta «al pieno riutilizzo del personale», silegge nell’Audizione del commissario Nardi del 30 maggio 2017 alla Camera. Ma che la ricetta non stia riuscendo è evidente da subito: viene interrotta l’attività produttiva e vengono pignorati i conti, mettendo a rischio il pagamento degli stipendi. La palla passa al ministro Carlo Calenda, che ripesca gli indiani, quelli malamente allontanatidalla gara treanni prima. L’INVERSIONE Così, nel maggio 2018, viene firmato l’accordo per la cessione delleacciaierie dalgruppoalgerino Cevital al gruppo indiano Jsw Steel. A questo proposito, Carlo Mapelli, professore di Siderurgia del Politecnico di Milano sostiene che «se ci si fosse affidati fin da subito a un imprenditore di esperienza, si sarebbero risparmiati anni di cassa integrazione, di mancata produzione e perdita di lavoro». Per favorire la venditaagliindiani, governoe Regione autorizzano la concessione portuale per una cinquantina di anni, una riduzione dei costi energetici e tralasciano la bonifica ambientale del sito. Come a dire: prendetevi ‘ste acciaierie e fatene qualcosa, noi badiamo a inquinamento, sottosuolo, sopravvenienze tecnico-ecologiche. Ma l’intoppo rimane sugli esuberi e sugli ammortizzatori sociali (tre quarti degli operai sono ancora in cassa, e sono poco più di 500 quelli in fabbrica), di cui il ministro dello sviluppo Di Maio aveva promesso di occuparsi. Ma ancora non s’è visto nulla. «È sorprendente cheil Governo dia al territorio messaggi di sicurezza non corrispondenti alla realtà», dicono i sindacati. Oltre al danno degli enormi costi sociali, però, c’è purela beffa. Nel dicembre 2017,l’amministrazione straordinaria aveva intentato una causa contro Cevital, per il risarcimento «dei danni cagionati dagliinadempimenti», si legge nella relazione della società di revisione KPMG. Cioè, rispetto agli impegni contrattuali, il mancato avvio del piano di investimenti e il non mantenimento dell’attività industriale per i due anni promessi. Il rimborso richiesto ammontava a 80 milioni di euro.Dov’èfinita quella causa, depositata al Tribunale di Livorno, di cui si legge che la prima udienza era fissata per il 19 luglio 2018? È curioso che l’udienza, quando di solito per atti simili bastano 90 giorni, sia statafissata a ottomesi di distanza. Utili, si potrebbe pensare, per trovare un compratore al quale non mettere nel conto anche una sentenza capestro, ma con l’effetto collaterale che, in quel caso, il contenzioso sarebbefinito triturato nella trattativa per la vendita. CAUSA ESTINTA Secondo quando scritto nel bilancio nella sezione dedicata ai «contenziosi in essere» la causa è iscritta al ruolo con il numero 4804/2017, ma sui registri civili degli uffici giudiziari (basta una app per accedere a tutto) risulta essere «estinta». Ovvero, gli algerini di Cevital hanno chiuso la causa prima della venditaagliindiani. Ovvio, nessuno comprerebbe mai qualcosa che ha una vertenza simile con lo Stato. Ma lo Stato, degli 80milioni che chiedeva, ha incassato 160 volte di meno, la miseria di 500mila euro. Si legge, infatti, nella relazione della società di revisione, che l’amministrazione straordinaria avrebbe concluso un accordo «che preveda la rinuncia irrevocabilea ogni contenziosoin essere verso Cevital, a fronte del pagamento da parte di Acciaierie e Ferriere di Piombino SpA di un importopari a € 500.000». Il prezzo pagato alla fretta, all’ansia di chiudere unaltro capitolo ridicolo e tragico della dismissione dei gioielli di famiglia. © RIPRODUZIONE RISERVA