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 2018  novembre 26 Lunedì calendario

Perché i suicidi stanno diminuendo

La storia di copertina dell’Economist di questa settimana è dedicata al declino dei suicidi nel mondo: dal picco dei suicidi del 1994 sono diminuiti complessivamente del 38 per cento, per un totale di 4 milioni di vite salvate, più delle persone uccise in tutti questi anni in guerra. Salvate perché – come spiega l’Economist in una serie di articoli collegati – in larga parte questa tendenza è dipesa dalle scelte dei governi e da fenomeni umani normalmente associati al progresso, come l’urbanizzazione e le maggiori libertà individuali.
La diminuzione dei suicidi non è un fenomeno uniforme a livello mondiale, né interessa tutti i paesi: gli Stati Uniti sono la grande eccezione, perché lì i suicidi dal 2000 sono aumentati del 18 per cento. Ma il declino nella gran parte del mondo, e soprattutto in paesi come Cina, India e Russia, ha compensato l’anomalia statunitense. C’è un’altra premessa da fare: i dati a disposizione vanno presi in certi casi con cautela, perché in molti paesi in cui esiste una religione di stato che “proibisce” e censura i suicidi, il loro numero è spesso sottostimato. Ma secondo l’Economist la tendenza generale è con ogni probabilità la stessa.
Tra le principali ragioni di questo fenomeno c’è il miglioramento delle condizioni di vita delle donne asiatiche: se normalmente sono gli uomini a essere più interessati ai suicidi, la percentuale tra le donne in Cina e in India è sempre stata molto più alta del resto del mondo. Questo dipende in parte dalla diminuzione dei matrimoni combinati e forzati, che comporta una minore quantità di donne costrette a vivere con mariti violenti e oppressivi, e una maggiore quantità che vive con una persona che ha scelto. Tra le donne cinesi dai 20 ai 30 anni, il tasso di suicidi è diminuito del 90 per cento dal 2000, secondo l’Economist.
Ma c’entra anche l’urbanizzazione, contrariamente a quanto si può pensare: nel mondo infatti sono maggiori i suicidi nelle zone rurali che in quelle urbane. Anche se spesso nelle grandi città i legami sociali sono meno e meno stretti, in molti paesi del mondo quei legami possono essere più una costrizione che un sostegno. Normalmente le donne (così come gli uomini) hanno maggiori possibilità di realizzazione in città, come ha spiegato Jing Jun, professore all’Università Tsinghua di Pechino. Secondo uno studio del 2002, due terzi delle giovani donne cinesi che vivevano in campagna e che avevano tentato il suicidio lo avevano fatto per via di matrimoni infelici; due quinti perché picchiate dal marito; un terzo per i problemi con le suocere. «Si sposavano nella famiglia del marito, lasciavano i propri paesi natali, andavano in un posto dove non conoscevano nessuno».

In città, inoltre, le persone entrano meno in contatto con strumenti con i quali potrebbero uccidersi, come pistole o pesticidi. Proprio i pesticidi sono un esempio di un’iniziativa governativa che ha prodotto un miglioramento in questo senso: nel 2011 la Corea del Sud proibì il paraquat, un diserbante tossico già vietato in Europa, provocando una diminuzione dei suicidi. Un effetto simile ebbe la stretta decisa dall’ex presidente dell’Unione Sovietica Michail Gorbaciov sulla produzione e sulla vendita di alcolici, che a metà degli anni Ottanta fece diminuire l’alcolismo e i suicidi. Dal 1984 al 1986 la produzione di vodka si dimezzò, i suicidi tra gli uomini calarono del 41 per cento e tra le donne del 24 per cento.
Il crollo dell’URSS, poi, li fece aumentare di nuovo, perché molte persone persero le proprie fonti di reddito in breve tempo. Le persone disoccupate si uccidono in media 2,5 volte più di quelle che lavorano, come ha dimostrato peraltro il picco di suicidi negli Stati Uniti e in Europa dopo la crisi economica del 2008 (si stima che furono 10mila più del normale). Con il graduale miglioramento delle condizioni di vita in Russia, negli anni Duemila, il tasso di suicidi tra gli uomini di mezza età diminuì e ora è di 25 ogni 100.000 persone: molto alto, ma la metà rispetto al suo picco.

Gli studiosi ritengono che le iniziative governative per ridurre la disoccupazione, e in particolare per reinserire nel mercato del lavoro chi lo ha perso, contribuiscano in modo determinante alla riduzione dei suicidi. È una delle ragioni per cui in Svezia il tasso dei suicidi non è aumentato dopo le recessioni dell’inizio degli anni Novanta e del 2008, anche perché l’assistenza sanitaria non è legata al reddito, come per esempio negli Stati Uniti.
In Giappone, dove i suicidi sono notoriamente un problema più grave che in altri paesi sviluppati, le politiche di riduzione della disoccupazione del primo ministro Shinzo Abe sono state «la prima causa» nella riduzione dei suicidi, secondo Michiko Ueda dell’Università di Waseda. Il problema giapponese è legato anche all’avanzata età media degli abitanti: storicamente, gli anziani sono la categoria di persone tra le quali è più comune il suicidio, ma sono anche quella in cui il tasso è sceso più rapidamente negli ultimi anni. Gli esperti attribuiscono questo calo al miglioramento dell’assistenza sanitaria, soprattutto nelle cure palliative (cioè che riducono il dolore, agendo sui sintomi). Il fenomeno è diminuito anche grazie alla diffusione dei badanti domestici.
Secondo l’Economist, i governi possono fare la differenza anche con iniziative più limitate e meno complesse di quelle del settore del welfare o della sanità. Contrariamente a quanto pensino in molti, ci sono studi che dimostrano che generalmente il suicidio è una decisione impulsiva: evitare materialmente che una persona si uccida non significa rimandare il suo suicidio, ma spesso significa salvarle la vita. Delle 515 persone che sopravvissero a un tentativo di suicidio dal Golden Gate Bridge di San Francisco tra il 1937 e il 1971, per esempio, il 94 per cento era ancora vivo nel 1978.
Il divieto sudcoreano sul paraquat è un esempio di come possono agire i governi in questo senso. Nell’Europa occidentale, dove i pesticidi non sono stati un problema rilevante da questo punto di vista, si è spesso intervenuti per limitare la vendita di farmaci utilizzabili per uccidersi: nel 1998 il Regno Unito limitò il numero di pillole di due comuni farmaci che potevano essere vendute in una singola confezione. L’anno dopo, i suicidi con i due farmaci diminuirono del 46 per cento e del 22 per cento. Più banalmente, i blister servono anche a questo: estrarre le pillole necessarie per uccidersi è un processo lungo, durante il quale si può cambiare idea o qualcuno può intervenire.
Negli Stati Uniti, le pillole sono spesso ancora vendute nei barattoli. Ma il grande problema degli Stati Uniti è che il cinquanta per cento delle persone si uccide con un’arma da fuoco: gli esperti sono d’accordo sul fatto che un più drastico sistema di controllo delle armi farebbe crollare il tasso di suicidi.
Un ultimo fattore importante nella prevenzione dei suicidi identificato dall’Economist è il modo in cui i giornali trattano il tema. Dopo il suicidio dell’attore Robin Williams, nel 2014, molti media riportarono i dettagli sul ritrovamento del suo cadavere. Alcuni studi sostengono che l’emulazione interessò fino a 1.800 persone nei successivi quattro mesi. Evitare il sensazionalismo e la romanticizzazione dei suicidi delle celebrità, e censurare le modalità materiali con le quali avvengono i suicidi, contribuisce secondo gli esperti a ridurre l’emulazione.