il Fatto Quotidiano, 26 novembre 2018
«Troppo bella per morire»: svolta nel cold case fascista
La sera del 27 maggio 1935, al largo della Rupe di Orrico, ad Anacapri, non lontano dalla Grotta Azzurra, un barcaiolo rinvenne il cadavere di una donna. Si scoprì che si trattava della poetessa inglese Pamela Reynolds, vent’anni compiuti da poco. Apprezzata da Benedetto Croce, e abituata a frequentare nella sua villa scrittori e uomini di cultura come D.H. Lawrence, Norman Douglas e Compton Mackemzie. Bella e solare, era innamorata della vita. La scomparsa di Pamela, che viveva a Capri dall’inizio degli anni Venti col padre Richard W. Reynolds, avvocato e professore, e con il resto della famiglia, era stata denunciata in quella stessa serata.
Amava la vita, ma l’inchiesta giudiziaria, condotta molto frettolosamente, stabilì che la giovane si fosse suicidata. Secondo la polizia, si era gettata dalla Rupe di Orrico. Eppure la gente dell’isola, come avrebbe ricordato l’albergatore Eugenio Aprea, quando vide il corpo mormorò che era “così bella anche dopo la morte”. L’aspetto della salma, e le descrizioni fatte dalla popolazione, non sembravano accreditare le modalità e gli effetti di una morte per “dirupamento”.
Le circostanze della morte di Pamela Reynolds, per decenni, sono state tramandate nel modo in cui le autorità fasciste, forse con il concorso della polizia segreta dell’Ovra, le avevano archiviate. Vi aveva contribuito la diffusione di una fotografia della fanciulla, l’unica conosciuta di quel periodo, ritratta con un’aria quasi spettrale: l’immagine di una persona allo stremo delle forze. Una foto, come si vedrà, che era stata ritoccata da qualcuno per avvalorare il suicidio.
Più di ottant’anni dopo, un paio di libri e le indagini di due criminologi e periti grafologici napoletani hanno riaperto il caso. E tra i misteri di quel 27 maggio 1935 spunta la pista del delitto: un innamorato respinto, o una parente invidiosa di Pamela? I primi a trasformare la vecchia storia di Anacapri in un cold case sono stati Rita Monaldi e Francesco Sorti con il romanzo Malaparte. Morte come me (Baldini+Castoldi). In queste settimane è arrivato in libreria il pamphlet Il mistero di Pamela Reynolds (Il Grappolo) di Antonio Corbisiero. A indagare, grazie alla loro professione, sono poi Andrea e Vincenzo Faiello, titolari di uno studio di criminologia, di grafologia e investigazioni comparative. La perizia eseguita sulla scrittura della Reynolds, chiesta da Monaldi e Sorti, e analizzata persino con l’ausilio delle lettere redatte da Aldo Moro nella prigione delle Br, li ha portati a una convinzione: la personalità della poetessa non presenta alcuna analogia con quella di un aspirante suicida. I Faiello sono andati avanti nelle indagini, tanto da rivolgere una richiesta alla procura di Napoli per la riesumazione e l’autopsia dei resti di Pamela. L’istanza non è stata accolta ma i Faiello non si sono arresi.
Una delle scoperte riguarda la foto di Pamela in cui appare funerea. L’immagine originale, invece, la restituisce bella ed elegante. Era custodita dalla signora Pamela Viva, figlia della governante dei Reynolds, Renata Celentano, che venne battezzata col nome della defunta. Chiunque ha visto la fotografia diffusa per anni, affermano Andrea e Vincenzo Faiello, “si è adagiato sulla impressione che Pamela soffrisse di una grave malinconia che l’avrebbe poi portata alla morte per suicidio: la polizia di regime aveva più che un motivo per liquidare come suicidio un fatto non accertabile, sia per il ruolo e l’attività della famiglia inglese che per il senso comune della legge e della giustizia che in quel tempo era condizionato notevolmente”.