La Stampa, 26 novembre 2018
Amazon sbarca a Long Island
Quando lasciate Long Island City, pacioso quartiere di Queens, a New York, al confine con Manhattan, e guidando sul Queensboro Bridge entrate in città, verso la 59esima Strada e il monumentale Hotel Plaza che il presidente Trump diede alla moglie Ivana a saldo del divorzio, aprite gli occhi, perché state viaggiando in un libro classico. Da East Egg e West Egg, villaggi immaginari sullo stretto lungo il Connecticut, partono infatti i protagonisti del romanzo «Il Grande Gatsby» di Fitzgerald, il gangster romantico Jay Gatsby, Nick Carraway l’amico leale, la fatua Daisy, il crudele Tom Buchanan. Per arrivare a Long Island City attraversano la desolata Valle delle Ceneri, storica discarica dove New York del XIX secolo seppelliva i resti della combustione di milioni di caminetti e fornaci e bruciava i rifiuti. Per Fitzgerald è il Purgatorio, dove i peccati dei newyorchesi vengono scontati, fino al Limbo di Long Island City: là Nick e Tom incrociano un corteo funebre e un’auto dietro, a bordo passeggeri neri con autista bianco, evento allora rarissimo. Gli afroamericani guardano ostili Tom, a sua volta persuaso da un libro appena letto che i bianchi siano assediati da turbe fanatiche multietniche, la dottrina oggi degli elettori repubblicani nel Midwest.
Long Island City venne fondata da un fabbro olandese, Hendrick Harmensen, e rimase indipendente da New York, con fieri sindaci, fino al 1898, quando fu inglobata con le fonderie e i ricordi della guerra rivoluzionaria 1775, le guarnigioni di Sua Maestà Britannica acquartierate tra i canali di Dutch Kills, in vista oggi dei luccicanti grattacieli del boom economico, oltre i grigi loft della catene di montaggio dismesse, occupati con i loro studi da giovani artisti come Alta Price, calligrafia romana antica tracciata in filigrana su carte preziose. Qui si fabbricano ancora le mitiche cravatte Brooks Brothers, marchio Usa al collo di ogni presidente, ora proprietà italiana con Claudio del Vecchio da Lincoln che venne ucciso con al collo un papillon Brooks Brothers alle regimental magnifiche di Kennedy: Trump usa invece le cravatte col suo brand. E qui i graffitisti duri del gruppo di Jonathan Cohen, a 5 Pointz, avevano decorato con i colori spray un intero edificio, al 45 di Davis Street, monumento-caleidoscopio riprodotto nei manuali di storia dell’arte contemporanea, finché il palazzinaro Jerry Wolkoff non decise di raderlo al suolo e fare i soldi con un condominio di lusso. Se ne erano, nel frattempo, andate in Cina anche le officine Eagle Electric, dove operai polacchi, italiani, neri faticavano insieme, trasformati in loft per la borghesia che mangia quinoa organica e hamburger chilometri 0, senza antibiotici, comprati online da Fresh Direct, catena con sede a Long Island City, grande rivale di Whole Foods, i supermarket ambientalisti di Jeff Bezos, patron di Amazon.
E di Jeff Bezos, se passate al self service greco dietro la 22esima Strada, celebre per lo studio del fotografo Steve McCurry, parlano tutti, perché, nel bene e nel male, la sua decisione di piazzare il secondo quartier generale di Amazon a Long Island City rivoluzionerà il quartiere del fabbro Hendrick.
Amazon parla di 25.000 nuovi posti di lavoro, stipendi fino a 150.000 dollari l’anno, triplo della media Usa, tasse a pioggia sulla comunità. Decine di città si son battute per il contratto e sindaco e governatore di New York, gli italoamericani De Blasio e Cuomo, si fregano le mani pensando al bilancio e concedendo dunque un miliardo e mezzo di dollari in incentivi a Bezos (1,32 miliardi di euro). Non tutti son però in festa. Beth, ragazza madre e cameriera arrivata a Long Island City dopo l’uragano che ha devastato Portorico, teme «affitti alle stelle, dovrò traslocare, la metropolitana fa schifo, come faccio con lavoro e bambino?». La neo deputata Alexandria Ocasio-Cortez, socialista stella della sinistra 2018, denuncia sfratti per lavoratori e ceto medio e vorrebbe che i soldi venissero investiti in trasporti e alloggi popolari: «Davvero serve incentivare un’azienda miliardaria?». Il New York Times guida l’opposizione, tralasciando però il dettaglio che Bezos è anche editore del rivale storico, il Washington Post. Il governatore Cuomo ribatte «Per ogni dollaro investito ne riceveremo nove in tasse».
E ci sono giusto meno nove gradi sotto zero a Long Island City, nel week end dopo Thanksgiving. Si passa per le avenue ortogonali, dove i pub irlandesi con sgabelli e birra alla spina cedono il posto a cocktail bar della scuola del barman filosofo, Sasha Petraske, con il respiro condensato dal gelo e la persuasione che Long Island City sta per cambiare anima. Se ne andranno artisti, studenti, lavoratori, arriveranno programmatori, scienziati Intelligenza Artificiale, manager, tecnici. Via le lavanderie a gettoni, dentro palestre high tech. L’esodo del ceto medio da New York continua, perché come la Daisy Buchanan, di cui il povero Gatsby era perdutamente innamorato attraversando Long Island City, ormai qui tutti hanno «la voce piena di soldi».