la Repubblica, 26 novembre 2018
La boxe sarà esclusa dalle Olimpiadi?
Capolinea Tokyo 2020. In Giappone la boxe potrebbe chiudere battenti aperti sin dall’Olimpiade di Saint Louis del 1904. A decidere sull’esclusione immediata del pugilato dai Giochi, che può essere estesa a Parigi 2024, sarà l’Esecutivo del Cio, riunito a Tokyo dal 30 novembre al 2 dicembre. La punta dell’iceberg di questo intrigo viene dall’Uzbekistan. Gafur Rakhimov è stato di recente nominato presidente dell’Aiba, la federazione mondiale del pugilato dilettantistico: alle elezioni ha battuto nettamente Konakbayev, antico rivale olimpico a Mosca ’80 di Patrizio Oliva. A guardarlo, Rakhimov trasmette freddezza intellettuale, una figura di quelle che nei film di James Bond avrebbe il ruolo del cattivo pieno di risorse.
L’avversione del Cio però non si basa su percezioni cinematografiche. Il numero uno della boxe in canottiera è infatti indicato dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti come uno dei membri del Circolo dei Fratelli. Si tratta di un gruppo criminale della mafia russa, i componenti si rifanno alla tradizione dei Vory V Zakone, i ladri delle legge, codice di spietate regole della malavita sorto nell’inferno dei gulag in epoca staliniana. A carico di Rakhimov ad oggi non risultano condanne, eppure secondo gli americani è uno dei leader del traffico di droga prodotta nei paesi dell’Asia Centrale. E generano ancora un’eco sinistra le parole dell’ex ambasciatore britannico in Uzbekistan, Craig Murray: in una intervista del 2014 alla Abc, lo definì uno dei cinque maggiori trafficanti mondiali d’eroina.
Il Cio a parte il diniego del nulla osta per Sydney 2000 e qualche altro attrito (pass negato ai Giochi giovanili di Baires), il vero muro lo ha alzato solo adesso. Eppure il ‘nemico’ non ha passato gli ultimi 20 anni in un collegio di educande, essendo stato ininterrottamente vicepresidente dell’Aiba a partire dal 1998. La sensazione quindi è che Rakhimov sia la punta di un iceberg che contiene altro.
Mentre infatti il pugilato professionistico vive una nuova fase di splendore con i vari Joshua, Alvarez, Lomachenko, quello amatoriale affoga da anni in problemi irrisolti. La questione arbitraggi è una maledizione con radici in periodi in cui Rakhimov non lo conosceva nessuno. La finale dei superwelter ai Giochi di Seul 1988, vinta dal sudcoreano Park Si Hun su Roy Jones, è ricordata come una delle pagine più vergognose nella storia della boxe. Una caduta libera, basta una analisi di Rio 2016. Ha fatto il giro del mondo il dito medio mostrato dall’irlandese Michael Conlan alla giuria dopo essere stato sbattuto fuori con una decisione discutibile, come grida vendetta l’oro dato nei massimi al russo Tiš?enko dopo che il kazako Levit lo aveva dominato. Un sistema con pericolosi segnali di implosione, se è vero che i 36 giudici del Brasile sono stati tutti sospesi.
Inoltre c’è la questione quattrini. Il vecchio presidente, il taiwanese Ching-Kuo Wu, è stato “dimesso” dopo undici anni di gestione folkloristica. Risultato: un rosso di bilancio di 19 milioni di dollari. Rachimov sul punto si è dato da fare, rinegoziando un prestito da 10 milioni con il primo creditore dell’Aiba, una società con sede in Azerbagian. Ma i beni del neo presidente che ricadono nella giurisdizione statunitense sono congelati e non gli è permesso fare transazioni in dollari. Tante, troppe questioni. Il Cio potrebbe anche salvare la boxe olimpica, ma lo farebbe di buon grado solo strizzando l’occhio a una nuova federazione in grado di farsi carico della svolta. Un repulisti arduo da fare nei 20 mesi che mancano ai Giochi. Insomma, boxe al bivio con Tokyo prossima fermata: sarà anche l’ultima?