Corriere della Sera, 26 novembre 2018
Il Mozart fatato di Muti
NAPOLI Nel segno di Mozart, il San Carlo ha aperto ieri la stagione con il colpaccio di riportare Riccardo Muti per un’opera nella sua città, 34 anni dopo il Macbeth. I biglietti volano fino a 1.200 euro, un record, festeggiato al termine da 10 minuti di applausi. E al teatro di Napoli, davanti a Casellati, presidente del Senato, e ai ministri Tria e Costa, Napoli (l’azione si finge lì) non c’è, se non in un’idea, come metafora di umori. Tutto è astratto nella regia di Chiara Muti, che riserva più di una sorpresa sotto gli occhi di suo padre: Guglielmo e Ferrando si sfidano in una partita di pallacorda, incrociando le racchette nel gioco della vita, sul tema della fedeltà.
È un Così fan tutte attraversato da un velo di malinconia che copre l’amarezza dei rapporti umani: è l’elemento che connota (assieme alla trasparenza timbrica esaltata in Soave sia il vento, il momento più celebre), la direzione di Muti, il suo leit-motiv. È l’opera del perdersi e ritrovarsi (si paleserà anche un labirinto). Ma niente sarà come prima, si fa capire nel finale, durante lo smascheramento, mentre le coppie si ricompongono, e non mancano le tensioni fra loro.
Come quattro anni fa a Roma, Muti alla regia ha voluto sua figlia Chiara, cresciuta alla scuola di Strehler. Il mare è increspato, visto in lontananza, giocato con le luci; le due giovani donne sono distese in letti a forma di barca: è un mondo, appunto, strehleriano. «Uno spazio come luogo della mente», dove trovi specchi che sono una riflessione della propria immagine e pensiero.
Don Alfonso, il filosofo del sestetto, muove le sue pedine come cavie, dà una «sporcatura» a quelle giovani vite accelerando l’addio alle utopie amorose, «sveglia in loro la crudezza della maturità, non è altro che accettare le imperfezioni della vita», come dice Chiara. La mascherata della festa per sedurre le ragazze avviene in un giardino incantato, cervi e caproni, a mo’ di Sogno di una notte di mezza estate, mentre Despina scende da una mongolfiera. Se lo spazio maschile di Guglielmo e Ferrando è in una sfida atletica, Dorabella e Fiordiligi appaiono in un mondo fatato, attraversando gli ultimi momenti della purezza. La narrazione è avvolta in una grazia umbratile. «È un testo metafisico sulla questione profonda dell’Io in rapporto all’altro, mi sono concentrata sul contenuto filosofico dello scambio di coppia», dice la regista.
Napoli viene chiamata in causa una sola volta nel testo, in una delle tante allusioni erotiche, quando una delle due dame dice di sentire un Vesuvio nel petto. «Leggenda vuole», racconta il direttore, «che la vicenda sia veramente avvenuta a Vienna, nel distretto di Neustadt, ovvero città nuova. Non potendo ambientarla lì, si dice Napoli, Neapolis che in greco antico vuol dire nuova città. Sarebbe stata usata come riferimento occulto a quel distretto viennese, il che è un altro gioco infernale di Lorenzo Da Ponte: se non è vero, è verosimile».
C’è poi una evocazione della Sesta napoletana: «È una forma armonica che dà il colore della nostalgia e richiama la mediterraneità». Napoli è nel mare e in certi movimenti sensuali della musica, negli istinti che non si riescono a placare.
E i personaggi si accompagnano a mimi con lanterne magiche, indossano costumi di epoche diverse, a sottolineare che «questa storia vale per ogni tempo». Don Alfonso è l’unico immerso nel ‘700. Le coppie si ricompongono, il doversi sposare ha un sapore di mestizia: «Devono amare qualcuno che forse non amano più». Qui c’è una nota autobiografica di Mozart, che amava (non riamato) Aloysia Weber e poi sposò sua sorella Costanza. «Convien armarvi, figlie mie, di costanza», è l’esortazione di Don Alfonso alle due fanciulle. È un’opera basata sulla tenuta della fedeltà, la costanza, che è anche il nome della moglie di Mozart. Un testo pieno di trabocchetti. Nel visionare la copia del manoscritto, Riccardo e Chiara hanno visto che là dove c’è scritto la sua costanza comincia a vacillar, Mozart cancella la parola «sua» e la cambia in «mia». Inganni, ma senza misoginia. Perché così fan tutti, donne e uomini.