La Stampa, 24 novembre 2018
La nuova strategia dei gruppi jihadisti: attacchi con droni e auto senza pilota
Dalla concentrazione in un effimero califfato alla frammentazione in una miriade di gruppi sparsi dal Marocco alle Filippine, che puntano ad attaccare l’Occidente con le armi del XXI secolo, compresi droni e auto senza pilota. È la radiografia dei gruppi «jihadisti salafiti» che quest’anno contano su un esercito di 230 mila militanti armati, un soffio in meno del picco raggiunto nel 2016. È stato il Center for Strategic e International Studies (Csis) a condurre il censimento, nello studio più dettagliato finora apparso, dal titolo: «L’evoluzione della minaccia salafita-jihadista».
È un’evoluzione rapidissima, che ha portato le due sigle più potenti, l’Isis e Al-Qaeda, ad adattarsi e a superare le disfatte subite in Siria e Iraq. La controffensiva occidentale, con l’apporto di Russia e Iran, culminata con la presa di Mosul e Raqqa l’anno scorso, non ha intaccato le loro capacità di arruolare. Dei 67 gruppi «jihadisti salafiti» censiti dal Csis, 23 sono legati allo Stato islamico o ad Al-Qaeda. Gli altri 44 sono più o meno indipendenti, ma spesso legati da alleanze locali ai due. I miliziani sono stimati in 230 mila, il 5 per cento in meno del 2016, nel momento della massima espansione del califfato, ma il quadruplo rispetto al 2001, quando erano 66 mila. I Paesi con più combattenti, se consideriamo la stima massima, sono Siria (70 mila) Afghanistan (64 mila), Pakistan (39 mila), Iraq (15 mila), Somalia (7200), Nigeria (6900).
Metamorfosi dell’Isis
I Paesi più esposti agli attacchi restano Siria e Iraq, dove lo Stato islamico ha condotto nel 2017 i due terzi dei suoi 4600 attacchi complessivi. Ma ci sono anche la Somalia e il Kenya dove gli Al-Shabaab hanno realizzato nel 2017 un quarto di tutti gli attacchi attribuiti ad Al-Qaeda, 350 su 1400. E c’è soprattutto l’Afghanistan, dove sono presenti Al-Qaeda, lo stesso Isis e il secondo gruppo singolo con più jihadisti, i Taleban (il più numeroso è Hayat al-Tahrir al-Sham, la franchise di Al-Qaeda in Siria). Proprio questa triplice minaccia rende Kabul la capitale più esposta, tanto che ieri il Segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, nel suo intervento alla conferenza Med Dialogues di Roma, ha avvertito che «dobbiamo continuare a essere in Afghanistan perché non vogliamo che l’Isis crei lì il suo nuovo califfato».
Al-Qaeda più flessibile
Ma il rapporto del Csis avverte anche che lo Stato islamico «si è consolidato nel deserto libico», da dove minaccia sia l’Africa Occidentale che il Maghreb. E non ha rinunciato a colpire in Europa. Un esempio è l’attacco a Manchester del 22 maggio 2017, con 22 vittime, realizzato con il minimo dispendio di mezzi da un terrorista, Salam Abdedi, «istruito da un individuo affiliato all’Isis». Al-Qaeda ha invece adottato una strategia diversa, «focalizzata a unirsi alle insurrezioni locali invece che cercare di usurparle». È un approccio che ha funzionato alla perfezione in Afghanistan, dove i Taleban sono presenti ora in metà del Paese.
Nuove armi
La risurrezione qaedista dipende anche dal pragmatismo del leader Ayman Al-Zawahiri rispetto al «califfo» Abu Bakr al-Baghdadi. L’erede di Osama bin Laden ha ordinato in modo esplicito di «evitare dispute con cristiani, sikh e indù che vivono nelle terre musulmane». Al-Zawahiri è convinto che l’approccio settario abbia portato alla sconfitta in Iraq. Al-Qaeda però imita l’Isis in altri campi. Soprattutto nell’uso di nuove tecnologie: droni armati, realizzati anche con stampanti in 3-D, guerra di propaganda sui social media, comunicazione criptate, uso di monete virtuali come il Bitcoin, intelligenza artificiale. Pochi mesi fa in Gran Bretagna sono stati arrestati due richiedenti asilo iracheni - Andy Samy Star e Farhad Salah - che progettavano un attacco con una autobomba senza guidatore. La nuova frontiera del terrore.gio. sta.