Tuttolibri, 24 novembre 2018
Roland Garros baciava le nuvole e poi abbatteva i nemici
Come se il centrale del torneo parigino fosse spazzato da un’ala di vento, che portasse via la terra rossa e trasformasse il campo da tennis in un altro, d’aviazione, dove soltanto piloti straordinari potessero atterrare. Così, facendo frusciare le pagine del volume dal titolo L’uomo che baciava le nuvole, prende vita e decolla la figura straordinaria di Roland Garros, autore di queste memorie e diario di guerra.
Più che ancora che un’autobiografia, si tratta di un romanzo di formazione, ma non di un personaggio, dell’aeronautica stessa, dai primi sgraziati balzi nel tentativo di sollevarsi, ai voli su tutto il pianeta, fino alla morte di cui si fa strumento in guerra. È un romanzo dapprima corale, che coinvolge girovaghi avventurieri, folli impresari, pericolose passeggere tutti talmente squilibrati da cercare un diverso allineamento in aria. Soltanto nella parte finale, dal 1914, diventa il racconto di un’esperienza individuale, la scintilla si muta in fuoco, il decollo in commiato e nel descrivere i primi duelli aerei Roland Garros prelude al capitolo che non può scrivere: quello della sua morte tra le nuvole che avverrà nel 1918, il 5 ottobre, un soffio più di un secolo fa.
Custodito al Museo dell’aria dell’aeroporto di Le Bourget, avvolto da una leggenda sulla sua stessa esistenza, il diario di Roland Garros è un resoconto puntuale e pudico di una conquista così rapida da risultare incredibile se non fosse documentata: quella dell’aria. Puntuale perché le note, redatte nelle pause tra un’esibizione e una trasvolata, sono dettagliate anche tecnicamente. Pudico perché a differenza della contemporanea autofiction di atleti e artisti, evita l’esibizione del peggio di sé, anche con qualche innocente omissione, lasciando agli altri sbronze e bordelli, a sé riservando notti insonni sui piani di volo.
Il Roland Garros che ci si presenta è un freddo appassionato: coniuga determinazione ed empirismo. Non sa, prova. Non si affida alla scienza ma all’incoscienza. L’era dei pionieri che ci racconta è naif e al contempo temeraria. Ammette: «Ignoravamo i principi più elementari del volo». Ci si alzava soltanto con il bel tempo, certo. E quando era bel tempo? «Quando in mezzo al campo il fumo di una sigaretta saliva seguendo una perfetta verticale». L’incidente non era un’eventualità, ma una costante da mettere in conto: le ruote erano il punto più fragile dell’apparecchio». Al debutto infatti: quattro uscite e quattro rotture. Ritenta, sarai più fortunato. E ritentavano, ma non sempre erano più fortunati. La morte era contemplata come un orizzonte. Cantavano, deformando un libretto d’opera: «Sopra la mia testa Bayard ha sospeso un alettone/e quando si abbatterà sarà una liberazione». Convivevano con l’idea della catastrofe e la profezia non poteva, prima o poi, che autoavverarsi. Toccherà a John Moisant, nei cieli d’America. Accorso sul luogo dell’incidente Roland Garros annota: «Tra le labbra sporche di terra si intravede il riflesso madreperlaceo di un dente. I tratti del viso sono congelati in un’espressione di calma infinita, in un accenno enigmatico di sorriso». Poi passa a cercare la spiegazione tecnica di quel «singolo istante che aveva avuto ragione di una lunga vita»: distrazione del pilota? Rottura di un tirante?
Analogamente, quando sperimenterà con successo la sua invenzione, il posizionamento della mitragliatrice sulla fusoliera, abbattendo un velivolo tedesco, registrerà l’aspetto tecnico della vicenda: «L’aereo non cade subito, ma descrive un’immensa spirale» e poi, freddamente: «Partiamo in macchina per vedere le spoglie. Un mucchio di rottami carbonizzati e due cadaveri nudi e insanguinati. I serbatoi erano crivellati, il passeggero aveva una pallottola in testa». Anatomopatologia dello schianto. Che il contorno sia uno spettacolo o un conflitto mondiale è un dettaglio. C’è un filo teso che unisce i giri della morte ai cocktail da Stag, le trasvolate da Tunisi a Roma ai duelli bellici. Su quel filo Roland Garros procede con l’andatura di un funambolo. Sempre sospeso su di noi, sempre con gli occhi a un punto lontano, ma sempre consapevole che niente varrà quanto il tragitto.
È nella sospensione e non nell’arrivo che si realizza, trova se stesso e le parole per definirsi: «Mi rivedo seduto sotto le ali sottili, bianche come un vestito da sposa...una miscela di energia, indolenza, emozioni, spensieratezza, tenacia, capriccio, ragione, sensualità». Roland Garros non si è limitato a baciare le nuvole, le ha sposate e poi le ha fortemente volute come impalpabile sudario.