Il Sole 24 Ore, 24 novembre 2018
D&G, a rischio 500 milioni tra negozi fisici e sul web
Quanto spaventi un crollo reputazionale in Cina si capisce dai tanti incidenti di marketing e comunicazione accaduti ad aziende e gruppi occidentali (si veda il pezzo in pagina) e alle relative scuse. Nel caso della moda e del lusso la questione è ancora più delicata. Per due motivi: il primo è che i consumatori di questi beni, di fatto superflui, sono sempre più infedeli. Basta un niente – un battito di ali su Instagram – per alienarli in massa. La concorrenza non manca: per un marchio che cade in disgrazia, ce ne sono decine pronti a farsi avanti. Il secondo motivo è che la moda, proprio perché non è una necessità, vive di immagine. Non è un caso se la categoria di maggior successo degli ultimi anni è il cosiddetto lusso aspirazionale.
La Cina è il posto peggiore perché il sogno si trasformi in incubo: è già oggi il primo mercato del lusso e l’unico dato in crescita a due cifre per i prossimi anni. Nell’esercizio 2017-2018, chiuso al 31 marzo, è stato il Paese più importante anche per Dolce&Gabbana, seguito dall’Italia. L’azienda non segmenta i fatturati, ma è ragionevole pensare che la fetta cinese valga circa il 30% degli attuali 1.300 milioni di ricavi, poco meno di 400 milioni. Una cifra alla quale bisogna aggiungere gli acquisti fatti in giro per il mondo: è di ieri il dato di Global Blue che attribuisce ai cinesi il 30% della spesa tax free in Europa. Da 400 si può arrivare quindi a 450, tutti legati allo shopping “fisico” (monomarca, department store e multimarca). A oggi, solo Lane Crawford, catena nata a Hong Kong, ha tolto Dolce&Gabbana dagli scaffali. Diversa la situazione sul web, dove le principali piattaforme di e-commerce hanno annunciato da due giorni di aver rimosso il brand. Ynap, unico portale occidentale ad aver seguito l’esempio dei cinesi, ha già fatto una parziale marcia indietro: niente Dolce&Gabbana su net-a-porter.com, presenza confermata su Yoox. Difficile stimare il valore delle vendite online indirette in Cina: quelle dirette, dal sito ufficiale dell’azienda, dovrebbero essere circa il 10% del totale in Cina, ma già inclusi nel dato sull’export. Aggiungiamo infine l’e-commerce wholesale, quello di Jd.com e simili, che possiamo stimare in altri 10 milioni e sfioriamo i 500 legati, a vario titolo, a clienti cinesi.
Cifra molto alta: se venisse a mancare creerebbe un calo del fatturato, ma anche della redditività, fatto forse ancora più grave, in tempi in cui gli investimenti in marketing e comunicazione non fanno che aumentare, per la competizione di cui parlavamo all’inizio. Più simile in realtà a una lotta all’ultimo sangue, per ottenere l’attenzione e la disponibilità a spendere e spandere degli infedeli e inquieti Millennial. Forse il punto è questo: trasformare la cattiva pubblicità di questi giorni in “semplice” notorietà. Non sarà facile, perché il web ha la memoria corta, ma i cinesi che ci sono dietro alle tastiere, per cultura, non dimenticano altrettanto facilmente.