Corriere della Sera, 24 novembre 2018
Ron Howard racconta il futuro di Marte ma pensa alla Terra
Marte è un pretesto, la colonizzazione del Pianeta Rosso un espediente retorico traspositivo per parlare di noi, della Terra. Dopo aver raccontato il viaggio e l’arrivo sul pianeta rosso nella prima stagione, su National Geographic torna l’appuntamento con Marte, la serie prodotta da Ron Howard e Brian Grazer (Sky, canale 403, giovedì, ore 20,55, sei puntate).
Sono trascorsi 5 anni dalla creazione del primo insediamento su Marte. È il 2042 e Olympus Town, la colonia fondata dalla International Mars Science Foundation, è ormai un sistema completamente sviluppato. L’agenzia spaziale sponsorizzata dal governo non può però continuare a finanziarlo e decide di aprire la missione a investitori privati come la Lukrum Industries. Una decisione che comporta l’inizio di inevitabili tensioni tra gli scienziati e i nuovi arrivati.
Marte è una delle tante serie di fantascienza? Racconta un futuro che ora ci pare ancora lontanissimo? Dal punto di vista linguistico, Marte mescola vari generi, una sorta di «docudrama» a metà fra invenzione e realtà. Ma c’è anche un po’ di «mockumentary», di falso documentario. Come in Zelig di Woody Allen, anche qui ci sono interviste a personaggi noti, a scienziati che hanno dedicato la loro vita allo studio del Pianeta Rosso. Tra questi Elon Musk, ceo di Space X, Ellen Stofan, ex capo ricercatore della Nasa, Naomi Klein, giornalista, scrittrice e attivista impegnata contro il cambiamento climatico (è l’autrice del celebre libro No Logo).
Quello che succede su Marte ci riguarda perché le vicende dei nuovi colonizzatori tracciano un parallelo tra ciò che potrebbe minacciare il futuro dell’esplorazione galattica e ciò che sta mettendo ora in pericolo la Terra: il cambiamento climatico, lo scioglimento dei ghiacciai, le trivellazioni, l’innalzamento del livello dei mari, le nuove epidemie…