Corriere della Sera, 24 novembre 2018
Margherita Sarfatti creò il duce. Il duce distrusse il suo mondo
Caro Aldo,
lei ha accennato al tentativo di Margherita Sarfatti di separare Mussolini da Hitler. Della Sarfatti scrivono Antonio Scurati in «M» e Rachele Ferrario e Roberto Festorazzi nelle loro biografie. A seguito del distacco dal Duce, non più musa del fascismo, la Sarfatti cercò di creare uno spazio culturale personale creando nuovi giornali e pubblicando diversi libri. Che cosa pensava e scriveva sulle leggi razziste che l’avevano costretta a esiliarsi? In sostanza fu critica o benevola con il ventennio? E che giudizio diede di lei la cultura successiva?
Caro Luigi,
in effetti Margherita Sarfatti non fu soltanto l’amante del Duce, oltre che la sua demiurga, visto che gli insegnò molto, lo inserì nei salotti milanesi, ne fece conoscere la personalità al mondo con il best-seller Dux. Fu anche la prima grande critica d’arte italiana, legatissima a Boccioni e a Sironi, fondatrice del gruppo Novecento. Ebrea, l’alleanza con Hitler e poi le leggi razziste (sono d’accordo con lei gentile Luigi, razziste non razziali) furono la tragedia della sua vita: l’uomo che lei aveva costruito andava distruggendo il suo stesso mondo. C’è una scena emblematica della sua vita. È il 2 ottobre 1935, Mussolini dichiara guerra al Negus – «con l’Etiopia abbiamo pazientato quarant’anni; ora basta!» —, la Sarfatti assiste con la figlia Fiammetta e un amico, Renato Trevisani, e commenta: «È il principio della fine». «Perché dice così? Crede che la perderemo questa guerra d’Africa?» le chiede Trevisani. E lei: «No, Renato, dico così perché purtroppo credo che la vinceremo; e lui perderà la testa». Margherita intuiva che l’invasione dell’Etiopia avrebbe isolato Mussolini e l’avrebbe gettato nelle braccia di Hitler. Quando poi il dittatore tedesco venne in visita a Roma, la Sarfatti disperata, ospite al Quirinale, cominciò a bere un bicchiere dietro l’altro, fino a quando il principe Umberto le propose di farla accompagnare a casa con la sua vettura. Scelse l’esilio, lasciò l’Italia, si salvò la vita in Sud America. Tornò. Fu una delle testimoni-chiave per il lavoro di Renzo De Felice. Riposa a Cavallasca, vicino al lago di Como e alla villa dove Mussolini dormì prima di marciare su Roma, non escludendo di riparare in Svizzera in caso di insuccesso. Racconta Indro Montanelli che alla Biennale – una rassegna che le doveva molto – alcuni critici che non la valevano riconobbero Margherita e la fecero scendere dal pullmino. Ovviamente Montanelli scese con lei, offrendole il braccio.