Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  novembre 24 Sabato calendario

Restituire l’Arte rubata?

Tesori razziati da rapaci eserciti coloniali o arte universale messa a disposizione di tutti? Il dibattito sui capolavori ospitati nei musei occidentali provenienti dai più remoti angoli del mondo si è riacceso dopo la decisione, presa questa settimana dal British Museum di Londra, di far ritornare in Nigeria i Bronzi del Benin, sottratti all’Africa nel 1897 dalle truppe della regina Vittoria. E questo proprio quando ieri in Francia una commissione voluta dal presidente Emmanuel Macron ha raccomandato modifiche legislative per autorizzare la restituzione di migliaia di opere accumulate durante il periodo coloniale.
I Bronzi del Benin fanno parte di una collezione di arte nigeriana forte di 700 pezzi: ora verranno riportati in Africa e ospitati in un nuovo museo sulla base di un prestito a lungo termine. Per la piena restituzione, infatti, occorrerebbe un atto del Parlamento britannico. 
Lo storico britannico-nigeriano David Olusoga ha definito la rimozione dei bronzi dal regno del Benin (oggi parte della Nigeria) come «un caso molto chiaro di appropriazione e furto». Circa 4000 oggetti d’arte vennero sottratti al Benin da una forza di spedizione britannica, dopo che il regno africano si era ribellato a Londra. Quei manufatti sono oggi dispersi tra vari musei in Europa e Stati Uniti.
Ma la decisione del British Museum rischia di dare la stura a tutta una serie di rivendicazioni. Proprio questa settimana il governatore dell’Isola di Pasqua ha chiesto al museo londinese la restituzione della Hoa Hakananai’a, una figura di pietra di quattro tonnellate che venne prelevata nel 1868 da una nave britannica di passaggio per farne dono alla regina Vittoria. 
La disputa più famosa coinvolge tuttavia i marmi del Partenone, anch’essi ospitati al British Museum dopo che vennero asportati dall’Acropoli di Atene nell’800: la Grecia continua a chiederne invano la restituzione. Così India, Pakistan, Iran e Afghanistan reclamano il Koh-i-Noor, il diamante più grande del mondo, che andò a far parte dei gioielli della Corona britannica dopo la conquista del Punjab, sempre nell’800. E l’Egitto vorrebbe riavere la stele di Rosetta, quella che consentì di decifrare la scrittura geroglifica: rinvenuta nel delta del Nilo dalle truppe napoleoniche, venne ceduta alla Gran Bretagna sulla base del Trattato di Alessandria del 1801 ed è oggi esposta al British Museum.
Tutte rivendicazioni che riceveranno nuova spinta dal rapporto francese presentato ieri. Macron lo aveva commissionato l’anno scorso dopo aver annunciato di volere «la restituzione temporanea o permanente all’Africa del patrimonio africano»: e adesso il rapporto ha stabilito che gli oggetti d’arte arrivati in Francia tra la fine dell’Ottocento e il 1960 sono da considerare potenzialmente frutto di razzie perché gli africani erano impotenti a resistere alle forze coloniali francesi. Il rapporto costituisce anche il primo elenco ufficiale dell’arte africana presente in Francia: si tratta di 90 mila manufatti, 70 mila dei quali custoditi nel museo parigino intitolato a Jacques Chirac. E di questi 46 mila sono arrivati durante il periodo «incriminato».
Non tutti però sono d’accordo con questa linea di condotta: «L’approccio colpevolizzante di Macron è riduttivo – ha detto il direttore del Victoria and Albert Museum di Londra, Tristram Hunt —. Bisogna prendere in considerazione la storia di ciascun oggetto». E una portavoce del British Museum ha commentato al Times che «il pubblico trae un forte beneficio dall’avere musei come il nostro che ospitano oggetti di tutto il mondo sotto un unico tetto e rendono le collezioni accessibili a un pubblico più vasto». Una posizione sposata dallo stesso quotidiano di Londra, che in un editoriale ha sostenuto che «i musei devono resistere a quelle richeste» perché le opere custodite nelle collezioni europee «possono essere meglio protette ed essere viste da milioni di persone».