Libero, 24 novembre 2018
I migliori incipit della letteratura
Non è facile trovare l’attacco di un articolo che parla di incipit. La pagina che leggete, infatti, è rimasta bianca a lungo, le dita bloccate sulla tastiera alla ricerca delle parole giuste per non deludere chi, da un pezzo che parla di buon attacchi, si aspetta chissà quali artifici letterari. L’inizio di uno scritto è come un aratro che traccia il solco, è una promessa di ciò che accadrà, un accordo tacito con il lettore. Può essere folgorante come un amore a prima vista, oppure tortuoso e faticoso come una camminata in montagna. C’è chi sostiene che un buon attacco debba contenere l’annuncio della fine. Come fa Gabriel Garcia Marquez in Cent’anni di solitudine: «Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Adriano Buendia si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio». In tre righe c’è tutto: un uomo che sta per essere ucciso, il suo mestiere di colonnello, la sua infanzia, anzi un giorno particolare dei suoi primi anni di vita. Altri studiosi ritengono che l’attacco di un romanzo debba alludere senza concedere troppi dettagli al lettore, proprio come nell’arte della seduzione. Il volume Incipit. 2001 modi per iniziare un romanzo di Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi e Antonio Stella (Skira, pagg. 538, euro 19) è una riedizione aggiornatissima di Era una notte buia e tempestosa, 1430 modi per iniziare un romanzo uscito nel 1993.
L’IDEA SBAGLIATA
La prefazione è di Umberto Eco, il quale amava studiare gli incipit. Per il semiologo scomparso nel 2016 non è vero che chi ben comincia è a metà dell’opera. «È divertente vedere come cadano in questa rete anche alcuni narratori grandissimi, con libri famosi, che poi si sono dimostrati migliori del loro inizio (...) La Quinta di Beethoven inizia bene mentre l’Incompiuta di Schubert inizia in sordina, e se hai un giradischi o un mangianastri che funzionano male, non ti accorgi neppure che è incominciata (...)». E cita L’orologio di Carlo Levi «un libro modesto che ha un inizio che pare una zampata: ?La notte, a Roma, par di sentire ruggire i leoni?». Il libro dimostra come la bellezza di un incipit non cambi sostanzialmente le cose: le prove sono nel capitolo «Fahrenheit 451», quello che raccoglie gli attacchi più brutti della storia. Esistono libri meravigliosi che iniziano male, almeno secondo gli autori del volume. Tra questi c’è Marcel Proust che cominciava così il suo I Guermantes: «Il pigolare mattutino degli uccelli sembrava un insulto a Françoise. Ogni parola delle donne la faceva sussultare; intrigata da ogni lor passo, era sempre a domandarsene la direzione: avevamo cambiato casa». C’è l’attacco de La noia di Alberto Moravia: «Ricordo benissimo come fu che cessai di dipingere». Il volume suddivide gli inizi in tre categorie: di azione (o in medias res), di attestazione (o testimonianza) e di individuazione. Nella prima sezione rientrano ad esempio le favole di Esopo e Fedro («Un lupo vide un agnello vicino a un torrente che beveva, e gli venne voglia di mangiarselo con qualche bel pretesto»). Saltano i preamboli e vanno diritti alla storia. Tra i migliori inizi della storia della letteratura di tutti i tempi Stephen King cita quello di Il postino suona sempre due volte di James M.Cain: «Verso mezzogiorno m’hanno buttato fuori dal camion». Lo stesso Stephen King non ha dubbi: «La migliore frase che io abbia mia scritto è l’attacco di Cose preziose, stampato da solo su una pagina in corpo 20: ?Sei già stato qui?. Lì da sola su una pagina, la frase invita il lettore a continuare a leggere».
LE FAVOLE
Negli inizi-attestazione rientrano quelli che si preoccupano di ristabilire la veridicità della vicenda narrata perché qualcuno ne è stato testimone diretto. Un esempio è Il Narratore di Walter Benjamin in cui il viandante torna da terre lontane e racconta le meraviglie che ha visto. La terza e ultima categoria di attacchi si basa sull’individuazione che può avvenire nel tempo e nello spazio. Come il disneyano: «C’era una volta in un Paese molto lontano...», oppure: «C’era una volta un re che aveva tre figlie» del Principe ranocchio.
CAPOLAVORI
Raramente capita che i tre inizi si sovrappongano e allora «è un segno certo di grandezza». L’Inferno di Dante, per esempio. «Nel mezzo del cammin di nostra vita/mi ritrovai per una selva oscura/che la diritta via era smarrita»: è un attacco che salta i preamboli, è una testimonianza diretta perché raccontata in prima persona ed è infine un attacco-individuazione poiché descrive una verità più universale della storia inarrata. Un altro esempio nella Genesi. «In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: ?Sia la luce? e luce fu». Nella Genesi creazione e parola coincidono. Scrivono gli autori: «È la parola che, nominandolo, fa essere il mondo». La prima parola genera un nuovo mondo. Per questo gli scrittori esitano a scriverla. Una sorta di pudore verbale che paralizza le mani prima che la storia tracimi.