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 2018  novembre 24 Sabato calendario

Intervista a Roberto D’Agostino, tra Cossiga e Fellini

Roberto D’Agostino, 70 anni, giornalista, personaggio televisivo, intellettuale controcorrente. Ha fondato Dagospia quando in pochi avevano intuito il potenziale di internet.
Come creò Dagospia nel periodo in cui ancora pochi intuivano il potenziale del web?
«All’epoca ero dipendente dell’Espresso, che per molti giornalisti era un punto di arrivo. Cercai però qualcuno tra i miei colleghi della stampa che volesse partecipare alla fondazione di un sito sperimentale e molti mi risero in faccia dicendomi che ero un cialtrone. Ero innamorato di internet e avevo un forte desiderio di essere autonomo e libero: così fondai il sito da solo con i risparmi miei e di mia moglie. All’inizio ero solo io a crederci, oggi invece Dagospia è un successo italiano riconosciuto anche all’estero. Ricordo la lungimiranza di Paolo Mieli, che disse: Internet è una moda passeggera. Come il borsello».
Le viene in mente un episodio OFF che ha determinato una svolta nella sua carriera?
«Quando Cossiga fu dichiarato pazzo e costretto a dimettersi dalla prima carica dello Stato non ebbe nemmeno la possibilità di passare qualche dichiarazione tramite agenzie stampa. Allora venne da me e iniziammo a collaborare. Ne fui lusingato: un Presidente emerito come collaboratore. Io, che non ero particolarmente interessato alla politica e men che meno all’economia, da quell’esperienza imparai tante cose».
Quale fu dunque la cosa più importante che trasse da quell’esperienza?
«Appresi che la macchina del potere è complessa e intricata e che nessuno riesce a comprenderne i meccanismi fino in fondo. I politici di oggi, ad esempio, confondono Palazzo Chigi con il vero potere. Non è così evidentemente. Il gioco della politica è così complesso che coloro che siedono a Palazzo Chigi non sono altro che inquilini di passaggio. Il potere non risiede lì, ma negli ingranaggi che smuovono la macchina. Se tu pensi di comandare, è la volta buona che la macchina si mette in moto per scalzarti dalla poltrona. Il potere, come diceva Andreotti, logora chi non ce l’ha».
Ci racconti di quel primo incontro con Fellini...
«Era il 90 o il 91. Stavo iniziando a perdere i capelli a pioggia e mi recai di corsa da un esperto americano, che mi faceva fare degli impacchi maleodoranti a testa in giù nel lavandino. Un giorno ero in bagno ad assolvere la solita procedura e mi accorsi che accanto a me, nella mia stessa condizione, c’era Federico Fellini. Abbiamo condiviso per un periodo la nostra tragedia psicologica, a testimonianza che anche un genio del suo calibro aveva un punto debole: la vanità. Era una persona straordinaria. Sceglieva i vocaboli con cura, costruiva le frasi con maestria, era un grande conversatore e un visionario. Quando nella vita fai incontri del genere, provi proprio la sensazione di non valere un cazzo. Mi convinsi a leggere di più, a studiare, ad andare nei musei e a stare coi piedi per terra, perché davanti al vero genio ci si rende conto di essere una pippa!».