Il Messaggero, 24 novembre 2018
Intervista a Claudia Cardinale su #Metoo e dintorni
Domenica, in Italia e nel resto del Pianeta, verrà celebrata la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, istituita dall’Onu nel 1999. Femminicidio, abusi sessuali, molestie e maltrattamenti verranno simbolizzati dalle scarpe rosse lasciate abbandonate nelle piazze e nelle strade. E dal colore arancione che, su indicazione delle Nazioni Unite, tingerà per diversi giorni le facciate dei palazzi, monumenti e siti web.
Nell’era del movimento #MeToo e della rinnovata consapevolezza femminile, la condanna della violenza di genere assumerà una dimensione ancora più potente. A Roma si comincia già oggi, con la manifestazione nazionale indetta dal movimento Non una di meno che partirà alle 14 da piazza della Repubblica e approderà a San Giovanni. Da lontano, perché impegnata in Svizzera per lavoro, anche Claudia Cardinale aderirà «con il cuore e con la mente» a tutte le iniziative anti-violenza.
L’attrice, 80 anni e una gloriosa carriera cinematografica ancora vivissima, è femminista da sempre, dai tempi in cui una donna decisa a rivendicare la propria indipendenza poteva anche perdere il lavoro: è quello che capitò a lei quando, per amore di Pasquale Squitieri, lasciò il produttore Franco Cristaldi e la gabbia dorata hollywoodiana in cui aveva vissuto. E per qualche anno faticò ad essere scritturata. La protagonista di film indimenticabili come Il Gattopardo e Otto e mezzo, I Soliti ignoti e La ragazza di Bube, dal 2000 ambasciatrice di buona volontà Unesco per la parità femminile, conosce personalmente anche la violenza: a 16 anni venne stuprata da uno sconosciuto più grande di lei che la caricò con la forza sulla sua auto. In seguito a quell’atto scellerato, l’attrice diede alla luce Patrick (a Londra, per nascondere lo scandalo), il figlio amatissimo che per anni fu costretta «per ragioni d’immagine» a presentare come il fratello.
Quanto ha pesato, nella sua vita, quella violenza?
«Il trauma mi ha paralizzata per tanto tempo, impedendomi di sposarmi e concedermi totalmente a un uomo. Solo Pasquale Squitieri, quando ero già adulta e famosa, mi ha permesso di recuperare un po’ fiducia nell’altro sesso. Ma non volli sposare nemmeno lui; così, perché esistesse una Claudia Squitieri, decise di dare a nostra figlia il mio stesso nome».
Cosa le ha dato la forza di andare avanti dopo lo stupro? «La mia meravigliosa famiglia. Il mio assalitore continuava a perseguitarmi e avrebbe preteso che abortissi, ma io non ne volli sapere: per niente al mondo avrei rinunciato alla mia creatura. Quando comunicai la decisione ai miei genitori e a mia sorella Blanche, furono tutti incondizionatamente dalla mia parte. Mi hanno protetta, incoraggiata e aiutata a crescere il bambino. Anche Cristaldi mi aiutò nei momenti più difficili».
Oggi, malgrado l’evoluzione del costume, la violenza di genere non accenna a diminuire: si parla di 3100 donne uccise in Italia dal 2000 a oggi, più di 3 alla settimana, mentre da gennaio si sono registrati ben 70 femminicidi e sono almeno 50mila le chiamate ai centri anti-violenza. Cosa ne pensa?
«È assurdo che, nel 2018, gli uomini continuino ad accanirsi contro le donne. Tanti anni fa, quando facevamo le marce femministe per scardinare il sistema patriarcale, non avremmo potuto prevedere che nel terzo millennio si sarebbero affrontati ancora gli stessi problemi. E la cosa peggiore è che la maggior parte dei femminicidi viene commessa da mariti, fidanzati, amanti, cioè le persone che dovrebbero amare e proteggere di più una donna».
Lei come lo spiega?
«Forse gli uomini non hanno ancora imparato ad accettare la nostra emancipazione, il diritto all’indipendenza che ci siamo conquistate grazie a tante battaglie. Quando decidi di lasciare un compagno, spesso scatta in lui una reazione incontrollabile che lo porta ad ucciderti per esercitare il suo possesso: non ti perdona perché vuoi smettere di appartenergli».
La donna libera mette paura? «Più è libera, più l’uomo si incattivisce perché vorrebbe continuare a sentirsi più importante. Ma è ridicolo, i maschi non potranno mai valere più di noi che diamo la vita».
Cosa fa in concreto come ambasciatrice dell’Unesco?
«Utilizzo la mia celebrità per promuovere in tutti i campi possibili l’uguaglianza di genere, il diritto all’istruzione, il rispetto dei diritti delle donne. Partecipo a dibattiti e talk show, viaggio, incontro tante persone. Un punto a cui tengo molto è la parità salariale: ancora oggi, nel cinema come in qualunque altro settore della società, malgrado il merito le donne vengono pagate meno degli uomini, a volte addirittura la metà. È semplicemente scandaloso e bisogna fare di tutto per cambiare la tendenza».
Cosa consiglia alle donne che sono vittime di violenza, abusi, molestie?
«Devono denunciare subito, senza esitazioni né paura. È l’unico modo per mettersi al riparo da rischi ancora più grandi. Alle attrici che hanno denunciato il produttore Harvey Weinstein dopo tanti anni vorrei chiedere: cosa diavolo erano andate a fare nella sua camera da letto?».
Al Festival di Cannes, ha partecipato alla marcia delle donne capitanata da Cate Blanchett. Al di là di manifestazioni e appelli, come si possono cambiare le cose?
«Bisogna partire dall’educazione in famiglia. Ai maschi, fin da piccolissimi, va insegnato il rispetto per l’altro sesso. E bisogna mettere in chiaro che la parità di genere non è negoziabile. È quello che ho fatto io con il mio Patrick. E lui è sempre stato un uomo meraviglioso e gentile».