Il Messaggero, 24 novembre 2018
I medici in Italia sono diminuiti del 10% in 10 anni
Pochi medici e turni di lavoro infiniti. La sanità pubblica italiana che, secondo i sindacati dei medici è ormai «al collasso», non riguarda più solo i 120.000 camici bianchi.
Ma interessa e colpisce tutti i cittadini e il loro diritto a ricevere le migliori cure sempre e in ogni parte d’Italia. Diritto, questo, che con la grossa crisi di organico che stanno vivendo le strutture sanitarie pubbliche è a grave rischio. E le prospettive per il futuro, gravate da anni di promesse non mantenute, sono anche peggiori del presente. «Già oggi – spiega Carlo Palermo, segretario generale del sindacato Anaao Assomed – la dotazione organica è del 10 per cento in meno rispetto al 2009 e le prospettive sono drammatiche. Nei prossimi anni andranno in pensione con la legge Fornero 45mila tra medici, dirigenti sanitari e veterinari. Un numero tale da mettere in ginocchio qualsiasi sistema sanitario nazionale se non si provvede immediatamente e rapidamente alle nuove assunzioni».
Per i sindacati le condizioni di lavoro dei medici sarebbero già oggi inaccettabili. «Lavoriamo male, siamo pochi, abbiamo turni massacranti, non possiamo godere delle ferie e questo si ripercuote inevitabilmente sulle cure che forniamo al cittadino», spiega Alessandra Di Tullio, segretaria di Fassid, federazione che riunisce più sindacati. Per il futuro si teme davvero il peggio.
I presupposti ci sono, a cominciare dal problema della mancanza di medici specialistici a finire dal numero troppo esiguo di borse di specializzazione messe a disposizione per formarli e il nodo del mancato rinnovo del contratto. La carenza di medici specialisti in Italia è diventata drammatica come conseguenza del mancato turnover: i sindacati stimano che nei prossimi 5 anni oltre 45.000 medici andranno in pensione, mettendo ulteriormente in difficoltà un sistema in forte crisi.
Il ministro ha annunciato che «nella Conferenza Stato-Regioni, convocata per il 29 novembre, è arrivato il momento di mettere sul piatto il vero problema per il personale in sanità: la rimozione dell’anacronistico parametro del tetto di spesa sul personale, fermo ormai da circa 15 anni». Promette soluzioni. «Faremo tutto ciò che è in nostro potere – sottolinea – per riaprire questo capitolo: nuove assunzioni significano futuro per il servizio pubblico e regole certe per chi lavora con contratti fantasiosi».
Ma tra i medici e i loro sindacati c’è ancora tanto scetticismo e si chiedono fatti concreti. «Il Governo del cambiamento continua a definanziare il servizio sanitario pubblico, a danno della cittadinanza e a beneficio del privato», afferma la Fp-Cgil Medici, mentre la Uil-Fpl rileva come «si sperasse in qualcosa di più concreto. Si deve porre fine al blocco del turnover, ricordando che mancano circa 20mila medici. Il sistema sanitario è al collasso, l’età media del personale medico supera i 54 anni e si prevedono migliaia di uscite con i nuovi pensionamenti». Altrettanto grave la denuncia di Marco Chiarello, coordinatore della Commissione Contratto del sindacato Aaroi-Ema, i medici anestesisti e rianimatori. «Tamponiamo i medici – dice – che mancano facendo turni in più, rispetto al debito contrattuale. È ora di chiarire che il sistema sanitario ha bisogno di risorse. Prima di tutto le risorse umane», precisa il rappresentate di anestesisti e rianimatori.
Nelle motivazioni dello sciopero di ieri sono state quindi centrali le questioni del mancato incremento delle risorse destinate all’assunzione del personale della dirigenza medica, veterinaria e sanitaria; l’esiguità delle risorse assegnate al finanziamento dei contratti di lavoro; i ritardi amministrativi nei processi di stabilizzazione del precariato del settore sanitario e il mancato finanziamento aggiuntivo per i contratti di formazione specialistica.