il Fatto Quotidiano, 23 novembre 2018
Intervista alla cantante Giorgia
La tentazione era troppo forte. “Alzai la cornetta e premetti il tasto ‘ripeti’”. E? “Misi subito giù. Qualcuno aveva risposto, non so chi fosse”. Giorgia, stalker. “Ma ho sempre amato Whitney Houston. Compravo ogni suo nuovo album. Così, quando il mio batterista Michael Becker, che lavorava anche con lei, compose il suo numero dal telefono di casa mia, non potei resistere!”.
Giorgia è seduta nel suo studio, davanti a uno schermo del computer, circondata da casse; in sottofondo i brani del suo ultimo album, Pop heart: pensa al suo mito, un sorriso affettuoso, di chi vuole coccolare e preservare un ricordo chiave della propria vita.
L’ha mai conosciuta?
Dopo un suo concerto a Milano, Michael insistette per presentarmela. Whitney mi sembrava alta tre metri. Riuscii solo a balbettare: “You are the best in the world. No, in the universe”. Che imbranata. Ero con Alex Baroni, che mi prese in giro. Ribattei: “Anche tu con Stevie Wonder sembravi un cretino!”. Whitney mi abbracciò. Quel tipaccio del marito, Bobby Brown, mi tese la mano, lo snobbai.
La Houston era un usignolo. Maltrattato.
Tifavo per lei. Credevo ce la facesse. Ma era circondata dalle persone sbagliate, come Amy Winehouse. Anch’io ho vissuto il mio periodo nero, però c’è chi ha saputo sostenermi.
Nel suo nuovo disco di cover, lei canta in modo devoto “I will always love you”.
In studio, prima di reinterpretarlo, parlavo con Whitney. Passeggiavo e le dicevo. “Perdonami! Lo faccio solo per amor tuo”. Ero in uno stato pietoso. Il mio produttore Michele Canova borbottava: “Giorgia è pazza”.
Ad aprile partirà per un nuovo tour. Stasera invece affronterà i suoi successi in un evento storico: la prima artista pop a esibirsi al Duomo di Milano.
Me la sto facendo sotto! I miei pezzi riarrangiati dall’orchestra diretta da Valeriano Chiaravalle, più la mia band. Saremo rispettosi della sacralità del luogo, non faremo baccano. Avevo pensato a delle cuffie per il pubblico, ma sarebbe stato un casino con le acconciature delle signore. Il concerto sarà per beneficenza: c’è da raccogliere un milione di euro per i bimbi disabili. Ci saranno letture sacre dell’attrice Giulia Lazzarini. Canterò anche l’Ave Maria di Schubert. La versione che avevo ascoltato da mio padre.
Con quale criterio ha scelto le canzoni del disco?
In maniera schizofrenica, come sono io. Ne abbiamo prese in considerazione 230. Prima ho provato a cantarle sulle basi, come al karaoke. Poi abbiamo lavorato sugli arrangiamenti. Mi sono cimentata con tutto lo scibile italiano e internazionale. Qui duetto con Elisa, Tiziano Ferro, Eros, il giovane talentuoso Ainè. Interpreto Mango, Madonna, Rihanna, oso avvicinarmi ad Annie Lennox. Ho riletto in chiave quasi black Come una favola di Vasco. Tante cose sono rimaste fuori ma rispunteranno nei concerti: Giudizi universali di Samuele Bersani. E Fossati, Dalla… Ho provato pure Through the barricades degli Spandau Ballet e Save a prayer dei Duran Duran: in omaggio ai miei idoli. A casa Todrani erano sotto embargo!.
Manca pure “Georgia on my mind”…
Come avrei potuto inciderla, dopo averla cantata con Ray Charles? Fu a Lucca, ero ospite nel suo set. Lui mi tastò il polso. Era il suo trucco per valutare l’energia delle persone. Dovevamo fare Hit the road Jack, volle che duettassimo in Georgia. Sul palco non sentivo niente, ma il nostro incontro fu magico.
E dopo lei raccontò a Ray la storiella di “Georgia” scritta in suo onore…
Da piccola ho avuto due traumi. Il primo è stato Babbo Natale, il secondo quando, a 12-13 anni, chiesi a papà se era vero che fosse amico di Charles e che la canzone era stata dedicata a me. E lui: “Ma c’avevi creduto? Era uno scherzo…”. Lo confidai a Ray, non la smetteva di ridere.
Stasera al Duomo farà anche due pezzi da “Pop heart”. Uno è “Anima” di Pino Daniele, l’altro “Le tasche piene di sassi” di Jovanotti. Quest’ultimo lo canta da figlia o da madre?
Da donna adulta. Il mio bambino, Samuel, lo ascoltò per la prima volta da Lorenzo all’Olimpico. Aveva due anni. Oggi allo stadio ci va con suo padre a vedere la Roma. Una volta sono dovuta andare anch’io.
Lei è della Lazio!
Per i figli si fa tutto. Ero in tribuna autorità, accanto a Malagò. Tre posti più in là c’era Totti, Samuel fu rispettoso, non gli chiese il selfie perché lo vedeva concentrato sul match. Io mi nascondevo, giocavo con il telefono. Finché Vanzina mi disse: “Ma non eri biancoceleste?”. La Roma perse…
Infiltrata.
Samuel si comporta come un tifoso anziano. La Lazio mi ha regalato la maglia ma devo nasconderla, altrimenti lui me la butta. Una volta venne a salutarmi il fratello di Del Piero e mio figlio si era scritto sul braccio “Juve schifo!”. Quando passeggiamo per il quartiere si mette la tuta giallorossa e la gente sogghigna.
Da grande farà il calciatore o il musicista?
Vuole aprire un ristorante. “Tanto i soldi me li date voi”, azzarda. Dovremo spiegargli un po’ di cose. E se vorrà suonare, che non punti alla fama a tutti i costi. Si diverta con la sua band, non necessariamente miri ai talent. Che io non demonizzo. Maria De Filippi mi voleva giudice ad Amici, ma non me la sentivo di eliminare qualcuno. Maria mi spiegò: “Hanno messo in conto il rischio di andare a casa”. Io, al posto loro, mi sarei demoralizzata. Questa generazione è veramente tosta.